Anno di prova in Ciociaria, il ruolo del docente
di Fabio Silvestri*
Come molti sanno, l’immissione in ruolo dei docenti dei vari ordini e gradi della scuola italiana si accompagna istituzionalmente ad una vasta attività di formazione e di riflessione sulle esperienze incontrate e vissute, simbolicamente chiamata “anno di prova”.
Ed in sede di bilancio finale, si deve riconoscere che il cosiddetto “anno di prova” si è rivelato effettivamente utile e formativo sotto diversi aspetti ed in funzione di diverse competenze: sia per quanto riguarda la didattica, sia per quanto riguarda l’organizzazione scolastica, sia per quanto riguarda la professionalità docente.
Il primo aspetto che vorrei sottolineare riguarda quella specifica competenza trasversale definita “imparare ad imparare” perché, sul piano personale, anche l’anno di prova mi ha confermato che ogni giorno si impara qualcosa di nuovo e che tutti noi dovremmo andare a scuola non tanto per insegnare ma per imparare.
Secondo me nessuno può insegnare niente a nessuno ma, tutt’al più, può trasmettere i risultati di un’esperienza, per cui il più grande errore che, da docenti, possiamo commettere è il sentirsi in qualche modo arrivati. Confondendo pericolosamente autorevolezza, che è qualcosa che ci si guadagna solo sul campo quotidianamente, con un malinteso senso dell’autorità.
In questo senso, si sono rivelati particolarmente interessanti proprio i quattro laboratori formativi previsti dal percorso istituzionale, che hanno focalizzato l’attenzione su alcuni elementi fondamentali che caratterizzano oggi la professione docente. E che hanno fornito alcuni spunti di apprendimento, approfondimento e riflessione che devono necessariamente caratterizzare, indipendentemente dalla loro concreta o meno applicabilità, il bagaglio culturale e professionale di chi svolge la professione docente.
Penso, ad esempio, ai temi proposti sulle nuove tecnologie digitali, le quali presentano a mio parere molti limiti sul piano della loro capacità di promuovere un reale sviluppo cognitivo e logico degli studenti, ma che non possono non essere conosciute ed in qualche modo gestite, essendo questi strumenti il principale linguaggio usato dalle generazioni più giovani, le quali devono essere guidate il più possibile ad un loro uso consapevole, corretto e, soprattutto, responsabile.
Oppure, sul piano più strettamente didattico, penso all’attenzione dedicata,in materia di gestione della classe e di inclusione a strumenti metodologici e strategici quali l’apprendimento cooperativo che (pur non condividendoli personalmente a favore di un approccio più fondato sulle capacità euristiche, di autonomia e di problem solving di ciascun singolo studente) si fondano però su alcuni presupposti didattici e psico-pedagogici fondamentali, la cui conoscenza è indispensabile per ogni docente.
Od ancora, sul piano specifico della professionalità docente e dei doveri e problemi etici di questa professione, penso alla riflessione proposta, per quel che concerne le problematiche relazionali, sul tema della natura del ruolo del docente, sospeso a metà tra educatore e trasmettitore di conoscenze specifiche.
Da “ricercatore prestato alla scuola” credo personalmente che il ruolo del docente non debba essere quello di educatore (compito in realtà demandato ad altre agenzie formative di vario tipo), ma piuttosto quello di un “testimone” portatore di una competenza specifica, curare la propria formazione continua, e per questo sempre disponibile ad utilizzare i risultati della ricerca per innovare le proprie pratiche didattiche.
Infine, concluderei questo breve bilancio finale con una riflessione sull’insegnamento tratta da un libro di Andre Agassi, che mi ha quotidianamente accompagnato nel corso di quest’anno (grazie ad uno studente che, conoscendo il mio carattere, mi ha prestato il volume consigliandomi di leggerlo): Open-La mia storia (Einaudi, Torino, 2015).
Ove, a pag.486, si legge: “…I nostri educatori sono i migliori, punto e basta. L’obiettivo, nell’assumerli, era quello di trovare uomini e donne intelligenti, appassionati e ispirati, disposti a mettersi in gioco e a lasciarsi coinvolgere personalmente. A loro chiediamo una cosa sola: credere che ogni studente possa apprendere. Sembra penosamente ovvio, evidente, ma oggigiorno non lo è”.
*Docente di Filosofia e Storia