Allarme Legambiente-“A Frosinone si respira l’aria peggiore d’Italia”
Da settimane le città del Centro-Nord Italia sono avvolte in una cappa di smog. Un problema cronico, specialmente nelle regioni della Pianura Padana, dove le centraline antinquinamento hanno suonato già suonato, nelle prime tre settimane di quest’anno, un numero di volte davvero preoccupante. Segnalano che si è superato il limite di 50 microgrammi per metro cubo di polveri sottili (Pm10). A Frosinone e Milano per esempio è successo già 19 volte in almeno una centralina. Diciotto volte a Padova, Torino e Treviso. Male anche Napoli (16) e Roma (15). Questa classifica delle «maglie nere» — contenuta nel dossier «Mal’aria» di Legambiente che il Corriere ha letto in anticipo — è allarmante perché la legge prescrive che al massimo, in tutto l’anno, le città possano sforare per 35 volte. Le amministrazioni comunali, a macchia di leopardo, hanno puntato l’indice e messo in castigo i mezzi più inquinanti e chiesto ai condomini di abbassare la temperatura dei riscaldamenti.
«L’ormai cronica emergenza smog – dichiara Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – va affrontata in maniera efficace. Le deboli e sporadiche misure anti-smog, come il blocco del traffico adottato nei giorni scorsi a Roma e in diverse città della Penisola, sono solo interventi palliativi che permettono di contenere temporaneamente i danni sanitari, ma non producono effetti duraturi se non all’interno di interventi strutturali. È urgente mettere in campo politiche e azioni efficaci ed integrate a livello nazionale che riguardino tutte le fonti inquinanti, programmando interventi sia sulla mobilità urbana sempre più pubblica, condivisa, a zero emissioni e multi-modale, che sul riscaldamento domestico, la produzione di elettricità e quella industriale e l’agricoltura. Solo così si potrà aggredire davvero l’inquinamento atmosferico e affrontare in maniera concreta il tema della sfida climatica».
I dati dello scorso anno giustificano le preoccupazioni degli ambientalisti. Cinquantatre capoluoghi di provincia hanno superato il limite previsto per le polveri sottili (PM10) o per l’ozono (O3), stabiliti rispettivamente in 35 e 25 giorni nell’anno solare. In 26 dei 54 capoluoghi, il limite è stato superato per entrambi i parametri. Torino con 147 giorni (86 per il 10 e 61 per l’ozono) è la città che lo scorso anno ha superato il maggior numero di giornate fuorilegge, seguita da Lodi con 135 (55 per PM10 e 80 per ozono) e Pavia con 130 (65 superamenti per entrambi gli inquinanti). Entrando nello specifico, emerge come lo scorso anno per il PM10 siano state 26 le città capoluogo di provincia in cui si è superato il limite di Pm10. Dietro Torino (86 giorni di superamento), seguita da Milano (72) e Rovigo (69). Seguono con 68 giorni Frosinone e Venezia, Alessandria (66) mentre Padova e Pavia si sono fermate a 65 giorni; Cremona (64) e Treviso (62) chiudono la top ten del 2019. Per l’ozono troposferico, un inquinante tipicamente estivo il cui limite previsto dalla legge è di 25 giorni all’anno con una concentrazione superiore a 120 microgrammi/metro cubo (calcolato sulla media mobile delle 8 ore), nel 2019 sono state 52 le città italiane che hanno superato il limite dei 25 giorni: Lodi e Piacenza sono in cima a questa classifica con 80 giorni di sforamento ciascuno, seguite da Lecco (73), Bergamo (72), Monza e Pavia con 65. Il bilancio è negativo anche se si guarda all’ultimo decennio: il 28 per cento delle città monitorate da Legambiente che hanno superato i limiti giornalieri di PM10 l’ha fatto per tutti gli anni. La poco lusinghiera «maglia nera» la indossa Torino, prima in classifica sette volte su dieci. I polmoni dei torinesi hanno dovuto sopportare 1.086 giorni di sforamenti.
«Un inquinamento che minaccia la salute dei cittadini e l’ambiente circostante — aggiunge Andrea Minutolo, coordinatore dell’ufficio scientifico — che trova nel trasporto stradale una delle principali fonti di emissioni di inquinanti atmosferici nelle aree urbane, senza dimenticare le altre sorgenti come il riscaldamento domestico, l’industria e l’agricoltura. Settori sui quali occorre intervenire in maniera sinergica. A oggi l’Accordo bacino padano, con i suoi difetti e limiti, e gli Accordi per il miglioramento dell’aria sottoscritti da diverse regioni, rappresentano un primo passo verso una uniformità di azioni e misure su tutto il territorio nazionale, ma bisogna fare molto di più migliorando al tempo stesso gli accordi che ad esempio non prevedono misure rispetto a settori inquinanti come il comportato industriale e quello energetico, le aree portuali e l’agricoltura. Aree spesso attigue e integrate ai centri urbani e che richiedono misure specifiche per ridurne le emissioni. Per quanto riguarda, invece, il tanto discusso blocco del traffico, tale misura per essere veramente efficace e incidere sulla riduzione delle emissioni in città, dovrebbe essere strutturata ed ampliata progressivamente nei prossimi anni affinché diventi permanente».
Per questo oggi l’associazione ambientalista ha lanciato anche delle proposte: «tra le azioni principali il potenziamento del trasporto pubblico locale rendendolo efficiente, capillare, a zero emissioni e riducendo così il numero di mezzi circolanti in Italia, ripensare le città in una chiave sostenibile, rendere consapevoli le persone, attraverso campagne di informazione e sensibilizzazione sulle pubblicità spesso ingannevoli legate al mercato delle auto, eliminare i sussidi alle fonti fossili – nel 2018 parliamo di 18,8 miliardi di euro destinando quando previsto all’efficientamento energetico del patrimonio immobiliare del Paese, promuovere pratiche sostenibili in agricoltura». Legambiente ricorda anche come l’inquinamento atmosferico sia al momento la più grande minaccia ambientale per la salute umana ed è percepita come la seconda più grande minaccia ambientale dopo il cambiamento climatico. A pagarne le conseguenze sono i cittadini. «Ogni anno sono oltre 60mila le morti premature in Italia dovute all’inquinamento atmosferico che determinano un danno economico, stimato sulla base dei costi sanitari comprendenti le malattie, le cure, le visite, i giorni di lavoro persi, che solo in Italia oscilla tra 47 e 142 miliardi di euro all’anno (330 – 940 miliardi a livello europeo) — argomentano da Legambiente — e la Commissione europea ha messo in atto molte procedure di infrazione contro gli Stati membri, tra cui l’Italia, per il mancato rispetto dei limiti comunitari in tema di qualità dell’aria. Stati membri già alle prese con azioni legali intraprese da associazioni e gruppi di cittadini che chiedono di poter respirare aria pulita». corrie.it