Emergenza, Clara Todini in trincea contro il coronavirus
Emergenza sanitaria. La giovane dott.ssa Clara Todini, in trincea contro il coronavirus. Infermiera all’ospedale pediatrico Bambino Gesù, sede Palidoro-Unità operativa COVID-19.
Prima la laurea triennale in Infermieristica all’Università degli Studi di Ferrara, poi il Master di I Livello in Area Pediatrica alla Sapienza di Roma. Conosciamo Clara. «Lottiamo con tutta la forza e l’esperienza che abbiamo, senza arrenderci ma non siamo eroi. Siamo persone che mettono le loro competenze e capacità al servizio di tutti e lo fanno con dedizione ed impegno superiori, oggi, perché questo serve».
Cosa significa lavorare adesso in ospedale? Com’è cambiata l’attività? «L’emergenza sanitaria SARS-CoV-2 ha cambiato radicalmente il modo di lavorare. Nel giro di pochissimo tempo abbiamo allestito due reparti dedicati ai COVID: uno per i sospetti e uno per i positivi. E’ stata creata una squadra di medici, infermieri ed operatori dedicati in maniera esclusiva a questa attività, nonché un percorso preferenziale all’interno dell’Ospedale che ha dovuto rivedere tutta la logistica. Trasformazione che riguarda e ha coinvolto a 360° tutto il personale, compresa la vigilanza, i pulitori, la cucina, il lactarium. Tutta la catena fino allo smaltimento dei rifiuti per la gestione ottimale del biocontenimento. Per quanto riguarda la gestione clinica, invece, chiaramente tutti i piccoli sono isolati insieme ad un genitore».
Come vi proteggete? «Sono state allestite zone filtro, zone vestizione/svestizione. Tutto il personale (sanitario e non) a contatto con i COVID-19 deve indossare i DPI (dispositivi di protezione individuale). Guanti, visiera, cuffia, mascherina, camice idrorepellente, sovrascarpe: oggetti che sono diventati una sorta di armatura. Armatura che serve per combattere questo male invisibile, armatura che ti fa sudare e che ti segna il viso. La sensazione è quella di vivere una guerra in cui gli Infemieri combattono in prima linea. Ci siamo dovuti reinventare un mestiere: ora possiamo comunicare solo con l’espressività del nostro sguardo, con le mani, con un tono di voce rassicurante. Nessuno di noi sapeva come affrontare l’emergenza all’inizio, è stata una novità destabilizzante per tutti. Ed anche attualmente, tutto è in divenire».
Nel rapportarsi ai suoi colleghi, cosa ritiene fondamentale? «Il confronto: “Ma secondo te, sarebbe meglio fare così?” Il lavoro di squadra: “Mi segui mentre mi svesto?”. La svestizione va sempre fatta in due, uno che osserva e guida, l’altro che si sfila i presidi centellinando ogni movimento per non contaminarsi. L’attenzione ai minimi particolari: “Ti sei toccato il collo!”. Occhi rossi, ore di turno, prurito, puzza di disinfettante: gli infermieri sono abituati alla fatica, non si tirano mai indietro».
Un episodio da raccontare? «Abbiamo ordinato il gelato da mangiare in reparto, durante il turno di notte. Il gelataio, al telefono: “Il gelato è per il personale infermieristico?”, “Sì, avvisiamo i vigilanti però, gli accessi sono bloccati”, “Va benissimo, non ci sono problemi. Ma gelato sarà mia premura offrirlo, grazie per tutto quello che fate”. Ci fermiamo un secondo, ci guardiamo. Improvvisamente la fatica è sparita».
Qualche riflessione? «Credo che questo periodo così particolare abbia risvegliato la coscienza individuale di ognuno di noi, processo che storicamente non procede per gradi, ma a scatti. E sono certa che se ne stia verificando uno. Il mio pensiero comunque va ai colleghi di tutta Italia che vivono situazioni drammatiche. A tutte le persone che mettono a rischio la propria vita per salvare quella degli altri. Alle mamme e ai papà che lavorano in ospedale e hanno paura di riabbracciare i propri figli la sera, a casa. Ai figli che hanno paura di riabbracciare i propri genitori. A quelli che la famiglia ce l’hanno lontana, e chissà quando potranno rivederla. A chi non ce l’ha fatta. A chi non molla».
Vuole lanciare un messaggio? «Restate a casa. Usciremo a riveder le stelle».
Redazione Digital