“La mia Veroli”, Massimo Terzini si racconta

Roma (Mostra “ROMA”), i portoni della città vecchia (Mostra “A porte chiuse”) e le sedie (Mostra “Sedie”) sono le principali serie di Massimo Terzini intervistato dalla direttrice di Area C Quotidiano. Vive e lavora a Veroli (FR), dal 1984, anno della prima mostra personale, Terzini affianca al lavoro di architetto le attività di grafico e di pittore. Le sue opere sono state esposte in numerose mostre personali e collettive sia in Italia che all’estero. Le tecniche usate vanno dalla matita all’acquerello al legno La tecnica preferita è quella del pastello ad olio e acrilico su collage di grande formato, su base di legno.

Come nasce l’idea della scultura di Santa Salome?

«L’utilizzo della rete metallica non parte con la scultura di Sàlome. Avevo preso dimestichezza con questa tecnica realizzando precedentemente piccoli animali: uccelli, gatti… l’idea di provare a passare alla forma umana l’ho avuta guardando la bellissima tela del Cavalier d’Arpino che si trova in Basilica. Ho pensato che non ci potesse essere soggetto migliore, per un verolano…».

Qual è la tecnica utilizzata e cosa rappresenta nello specifico?

«Ogni operazione artistica nasconde molti piani di lettura. Ci sono i significati che dai tu a quello che stai facendo, ma ce ne sono anche tanti altri che emergono solo dopo. E non dipendono più da te. Per me che l’ho realizzata è solo un volume che riproduce tridimensionalmente, e nel modo più fedele possibile, qualcosa che fino ad allora era solo sulla tela. Il mio sforzo ed il mio obiettivo si fermano qui. Ma poi c’è chi entra in contatto con quello che tu hai fatto, e che tu voglia o no comincia a vederlo con altri occhi. Allora tutto si sposta magicamente su un piano diverso. Da quando il mio amico Angelo, don Angelo Maria Oddi rettore della Basilica, decise di esporre la scultura in chiesa, il quaderno che abbiamo collocato ai piedi dell’opera è stato riempito da centinaia di commenti da cui si capisce che chi è venuto a vederla, ha colto aspetti che io stesso non avrei mai preso in considerazione… diciamo che quello che io ritenevo un fatto del tutto “epidermico” nascondeva molteplici piani di lettura».

Culturalmente e architettonicamente cosa potrebbe fare Veroli per rilanciare la sua identità?

«Veroli ha un’identità molto precisa, purtroppo. La sua identità però non coincide più da tempo con gli attuali modelli di vita delle persone. Ma il problema di Veroli è comune a quello di tutti i piccoli centri in Europa, non solo in Italia. Una volta si nasceva, si lavorava, si avevano relazioni sociali, si facevano commerci all’interno dello stesso piccolo ambito urbano. La stessa tipologia residenziale, che prevedeva attività lavorative artigianali ai piani terra e abitative ai piani alti, non prevedeva grandi spostamenti da parte delle persone. In questo modo la città restava vitale naturalmente. L’artigianato non era una sovrastruttura turistica, quello che noi oggi rimpiangiamo e che talvolta tentiamo nostalgicamente di ripristinare, non era semplicemente una caratteristica estetica di un centro storico: delle cose che le “botteghe”, i laboratori, le piccole attività realizzavano e vendevano c’era un reale bisogno. Era un’economia circolare autosufficiente grazie alla quale un paese come Veroli si manteneva vivo. I figli che nascevano non facevano che incrementare il numero degli attori sulla scena. Non avevano la necessità di uscire fuori città per vivere o per guadagnare meglio. Veroli oggi avrebbe bisogno di un migliaio di persone in più residenti nel centro storico, ma questo si può ottenere solo rendendolo appetibile, incrementando cioè le attività che rendono agevole e piacevole la vita in città per giovani e per anziani, non certo favorendo una politica secondo la quale si espellono servizi come le Poste o le banche o le librerie o le farmacie o lo stesso mercato settimanale».

Perché ha rinunciato al progetto di riqualificazione dei Giardinetti del Monumento ai Caduti?

«Quella rinuncia è stata un fatto meramente tecnico-burocratico. Non avendo io i requisiti per occuparmi della sicurezza (cosa invece richiesta nell’affidamento della progettazione), di concerto con l’Amministrazione abbiamo deciso che l’unico modo per non avere problemi era quella di rinunciare formalmente all’incarico. La fase progettuale è stata tuttavia seguita per intero da me, e ne rivendico la paternità, di concerto con il mio collega Santoro Capogna. Spero peraltro di veder iniziare i lavori al più presto, perché quelle di cui ci siamo occupati sono aree strategiche per incrementare la vivibilità della città, esattamente in linea con quello di cui si stava parlando prima».

Come valuta la prima edizione del festival della filosofia?

«Veroli ci ha abituato da tempo ad una “vivacità estiva” di un certo livello. Quest’anno, mancando l’appuntamento con i Fasti per le note ragioni legate all’emergenza Covid, si è comunque organizzata una stagione abbastanza densa di eventi. Richiamare in città un pubblico proveniente anche da fuori Veroli su temi di qualità è sempre una buona idea. Forse si potrebbe fare a meno di etichettare le cose con una eccessiva ridondanza che rischia di apparire provinciale: così come mi fa sorridere sentir chiamare Veroli, la Firenze della Ciociaria, così Festival della Filosofia mi sembra un titolo eccessivamente roboante per degli incontri serali su temi eterogenei e senza il filo conduttore della Filosofia in senso rigoroso. Ma come si dice? Meglio di niente…».

Quando sarà presentata la sua nuova raccolta di acquerelli? Ci racconti come è nata e quale messaggio vuole lanciare...

«La serie completa di 40 opere con cui ho scelto di raccontare per l’ennesima volta la città che amo, verrà presentata sabato 5 settembre presso il Chiostro di Sant’Agostino e resterà aperta al pubblico fino a domenica 13. In realtà la presentazione è già avvenuta, perché stavolta ho voluto che le persone che seguono il mio lavoro mi sostenessero passo passo durante tutta la fase realizzativa delle varie opere, così, ho adottato la formula di pubblicare a cadenza quasi quotidiana, i soggetti che andavo completando attraverso la piattaforma Facebook. Questo mi è stato molto utile, perché il contatto quotidiano con i fruitori mi ha aiutato a tenere alto il livello della concentrazione ed è stata la vera benzina che mi è servita per portare a termine l’impegno che mi ero dato. Ogni volta che rappresento Veroli, pur con le tecniche più diverse, il timore è sempre quello di dire cose scontate, già viste, non originali. Stavolta ho provato ad aggirare l’ostacolo usando una tecnica che nell’immaginario collettivo è sempre stata associata al paesaggio romantico, al limite del pittoresco. Qui ho cercato al contrario di non rappresentare banalmente la realtà, ma di trattare ciascun soggetto come un’occasione per intravvedere un equilibrio tra volumi prevalentemente monocromatici. Probabilmente non dovrei essere io ad esprimere preferenze, ma i più riusciti sono quelli in cui è stato possibile trattare edifici e natura come semplici volumi sotto la luce usando quindi la stessa scala di colori. Ma anche qui, quello che penso io è solo una parte infinitesima di una verità più ampia e che forse conoscerò solo quando l’ultimo visitatore avrà abbandonato la mostra».

Nel 2020 quanto è facile o difficile essere architetto?

«Essere architetto è un mestiere affascinante, come tutte le attività creative. Le difficoltà di oggi sono le stesse di sempre e sono per lo più legate alla qualità della committenza. Il vero problema dell’essere architetto è dato dal fatto che tutti si sentono competenti per dare un giudizio sul tuo lavoro, quindi capita spesso, se non hai un committente intelligente, che il tuo progetto venga lentamente ma inesorabilmente stravolto da chiunque: dall’idraulico al tappezziere, dal cognato cardiologo al cugino avvocato… A quel punto è meglio rinunciare. Spesso i migliori progetti si realizzano attraverso la committenza pubblica. Di solito le Amministrazioni sono quelle che pur esercitando il diritto ad una supervisione costante, ti dicono esattamente quello che vogliono e quanti soldi ci sono per realizzarlo. Per il resto ti lasciano fare. Poi sta a te non commettere errori che possono ricadere negativamente su una comunità per decenni. E a Veroli purtroppo, negli ultimi anni qualche errore si è commesso…».