In viaggio con Francesca, ecco l’Abbazia di San Vincenzo e la cripta di Epifanio
di Francesca Campoli
Le circostanze così particolari ed alienanti che abbiamo vissuto e condiviso in questi mesi, hanno mosso in noi il desiderio di conoscere meglio il nostro territorio, di ripartire e di ricominciare dal nostro paese, alla scoperta dei luoghi, dei monumenti e delle innumerevoli bellezze che lo caratterizzano.
Così, con il medesimo spirito, abbiamo deciso di delineare un itinerario tanto importante dal punto di vista storico-artistico quanto misconosciuto ai più e che il turismo di massa non ha ancora scoperto. Si tratta dell’Abbazia di San Vincenzo al Volturno e della cripta dell’abate Epifanio (824-842), ubicate in un luogo solitario presso Castel San Vincenzo al Volturno e Rocchetta al Volturno, tra le sorgenti dell’omonimo fiume, tra le Mainarde, la Meta ed il Matese, immersa dunque in uno scenario profondamente naturalistico.
Tale complesso monumentale, fondato alla fine dell’VIII secolo, costituiva un tempo, un notevole centro monastico legato alla dominazione longobarda, la cui giurisdizione spirituale, sul finire del XVII secolo, venne affidata ai monaci dell’Abbazia di Montecassino.
In questo itinerario spirituale, nel quale è possibile sia ammirare le innumerevoli bellezze archeologiche sia immergersi in un ameno contesto naturalistico, la più significativa testimonianza è proprio la cripta della Chiesa, alla quale si accede discendendo alcuni gradini e la quale conserva ancora oggi, intatto, nonostante il corso dei secoli, un rilevante ciclo di affreschi del tempo dell’abate Epifanio, la cui effigie compare nel suddetto ciclo pittorico, riconoscibile mediante il nimbo che circonda il suo ritratto.
Appena si entra nell’ambiente della cripta, si disvelano, davanti ai nostri occhi, alcune scene ed alcuni soggetti iconografici carichi di un forte simbolismo quali la Madonna in trono con il Bambino, la teoria di sante vergini di ascendenza bizantina, San Michele, il martirio di San Lorenzo e di Santo Stefano, l’Annunciazione, la Natività, la Crocifissione, alcuni angeli, episodi della Passione che contribuiscono a creare un’atmosfera molto suggestiva in un contesto già particolarmente insolito ed incantevole.
Lo stile artistico di tale ciclo decorativo è riconducibile alla scuola di pittura e miniatura beneventana, aperta ad artisti longobardi e a maestri locali; caratteristica peculiare di tale compagine artistica è la stesura dei colori che mostrano una notevole luminosità e vibrazione nelle lumeggiature, il tutto delineato da un uso libero e sciolto del disegno.
La sua conservazione nel tempo si deve al fatto di essere rimasta interrata per molti secoli fino a quando non venne casualmente scoperta, durante alcuni lavori agricoli, nel primo Ottocento. Tale monumento, la cui storia un tempo era fortemente intrecciata alle vicende della Longobardia Minor, costituisce oggi un unicum nel panorama artistico altomedievale che conferma un graduale e significativo superamento dell’arte Bizantina, in una innovativa e singolare elaborazione dei caratteri stilistici.
Francesca Campoli nasce a Veroli e dopo la maturità classica frequenta la facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, conseguendo la laurea in Storia dell’Arte e Tutela dei Beni Storico-Artistici presso l’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo. Si specializza nello studio delle stampe antiche facenti parte della collezione grafica di Monsignor Vittorio Giovardi, conservate presso la Biblioteca Giovardiana di Veroli, attraverso uno studio di ricerca avviato dall’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo, in collaborazione con la Giovardiana. Successivamente consegue l’abilitazione per l’insegnamento della Storia dell’Arte nelle scuole secondarie di secondo grado presso l’Università degli Studi della Tuscia, Viterbo e la Specializzazione per l’insegnamento del sostegno nelle scuole secondarie di secondo grado presso la Lumsa, Roma. Attualmente lavora presso il Liceo Classico di Palestrina.