Omicidio Vannini, giustizia a metà
di Massimo Mangiapelo
Omicidio di Marco Vannini, condannati i Ciontoli. È la notizia del giorno. Tutti cantano vittoria, io un po’ meno. Penso sia una vittoria a metà. È accaduto per Federica Mangiapelo, il cui assassino è stato condannato a soli 14 anni di carcere. Così come nel caso di Gilberta Palleschi, in cui l’omicida si è visto scalare 10 anni di condanna (da 30 a 20), anche in questo caso grazie al rito abbreviato. È successo in tantissimi altri casi di femminicidio e di omicidio volontario, sarebbe lungo elencarli tutti. I colpevoli se la cavano troppo spesso con pochi anni di galera.
Ma veniamo ai fatti. I giudici del processo di appello bis oggi hanno emesso la sentenza per la morte di Marco Vannini, il ragazzo di Cerveteri che all’epoca aveva soltanto 21 anni. Era la notte tra il 17 e il 18 maggio del 2015. Si trovava in casa della fidanzata a Ladispoli, comune sul litorale romano. Il giovane è rimasto gravemente ferito da un colpo di pistola, che a causa del ritardo nella richiesta di soccorso si è rivelato mortale.
La sentenza: 14 anni per Antonio Ciontoli, sottufficiale della Marina militare distaccato ai servizi segreti, per omicidio volontario con dolo eventuale; 9 anni e 4 mesi per la moglie Maria Pezzillo e per i figli Federico e Martina Ciontoli per concorso anomalo in omicidio volontario. Ora si dovrà attendere la decisione finale dei giudici della Cassazione.
La grande vittoria sta nel fatto che tutta la famiglia sia stata condannata. Di certo i genitori Marina e Valerio saranno contenti della condanna. Ma anche loro, come tante altre famiglie delle vittime, si renderanno perfettamente conto che la giustizia è un colabrodo dentro il quale l’acqua non viene trattenuta, troppa ne viene dispersa.
Una cosa è certa. La vita di un ragazzo di 21 anni non può valere solo 14 anni di carcere, che con i benefici di legge diventeranno anche molti di meno. In Italia serve una giustizia più giusta. Serve la certezza della pena.