Il carabiniere ucciso aveva soltanto 30 anni, a Sonnino lutto cittadino
Si chiamava Vittorio Iacovacci, 30 anni, di Sonnino, in provincia di Latina, il carabiniere scelto caduto in Congo nel tentativo di proteggere l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, anche lui morto nell’agguato di un commando di sequestratori sulla strada per Goma. Il militare dell’Arma apparteneva al XIII Reggimento «Friuli Venezia Giulia», di stanza a Gorizia, e si era specializzato proprio come addetto alla protezione e scorta di personale sensibile. In precedenza aveva prestato servizio per un periodo nel Gis, il Gruppo intervento speciale dell’Arma.
Iacovacci non era sposato e non aveva figli. Si era arruolato nel 2016 e dopo aver frequentato la Scuola allievi carabinieri di Iglesias (Cagliari), aveva avuto come prima destinazione proprio il Reggimento, dal quale provengono molti militari dell’Arma destinati alle missioni all’estero. Non è un caso che alcuni fra i caduti dell’attentato di Nassiriya del novembre 2003 appartenessero proprio al XIII, come anche un altro carabiniere ucciso in un attentato in missione in Afghanistan, Emanuele Braj, nel 2012.
«La comunità di Sonnino è sgomenta per questa giovane e tragica perdita. Proclameremo il lutto cittadino». Sono queste le prime parole commosse del sindaco di Sonnino, Luciano De Angelis, alla notizia della morte in Congo del carabiniere Vittorio Iacovacci, originario del centro in provincia di Latina. «Era andato a portare la pace ed è stato ucciso – conclude il sindaco -: ci stringiamo attorno alla famiglia». Il primo cittadino del centro nell’agro pontino racconta anche che il carabiniere aveva «un fratello che è lui stesso in missione con la Marina militare. Una famiglia molto unita – aggiunge ancora il sindaco – qui in paese ci conosciamo tutti. Per noi è una tristezza infinita, immagino il dolore dei parenti: Vittorio era un ragazzo abituato ad andare in missione al’estero. Lo ricorderemo come è giusto che sia, per stare accanto alla sua famiglia, nel giorno dei funerali. È il minimo che possiamo fare».