“Non abbiamo ucciso Willy paghiamo per colpa di altri”, fratelli Bianchi a processo
«Ero preoccupato per il mio amico Omar, mi sono trovato Willy fermo davanti a lui e l’ho colpito, ma con un calcio laterale, sul fianco sinistro, non al petto. L’ho spinto. E poi lui si è rialzato». Marco Bianchi prova a minimizzare i fatti e il suo ruolo nell’uccisione di Willy Monteiro Duarte, per il quale è imputato con l’accusa di omicidio volontario assieme al fratello Gabriele, a Mario Pincarelli e Francesco Belleggia. Il più giovane dei due fratelli esperti di Mma parla nell’aula di corte d’Assise a Frosinone. Gli imputati sono presenti per la prima volta (nelle udienze passate erano collegati dal carcere, tranne Belleggia che ha sempre partecipato perché ai domiciliari) e per la prima volta sono di fronte alla mamma di Willy, accompagnata dalla figlia. Nella cella di sicurezza Marco e Gabriele si abbracciano prima di cominciare a parlare alla corte.
Il 25enne Marco Bianchi prova poi a dare un’immagine diversa di sé, per sfuggire alle testimonianze e alle precedenti inchieste che lo inquadrano come un picchiatore abituale, incline alla violenza, allo spaccio. Anche nel rivolgersi alla corte e al pm Giovanni Taglialatela è sempre attento a dosare le parole e i modi: ««Ho sempre detto la verità, ma non sono mai stato creduto. È morto un ragazzo, ma se lo avessi colpito in modo grave non me ne sarei mai andato, lasciandolo lì. Mi rivolgo ai familiari di Willy, se avessi sbagliato lo ammetterei. Non sono un mostro, ho sempre detto la verità a differenza di altri. Sono un ragazzo semplice, lavoravo al bar di mio fratello Alessandro (il terzo, non indagato, ndr), e ho sempre fatto sport. Se avessi colpito Willy nel modo che viene detto, mi sarei preso le mie responsabilità. Se sbaglio pago, non sono uno che ha paura della galera. Non avevo capito la gravità di quanto accaduto quando ci siamo allontanati in auto, ma non fuggivamo. Quando siamo risaliti in macchina siamo tornati verso il ristorante di mio fratello, Belleggia si è intrufolato in auto, Pincarelli non è salito con noi. Omar (Sahbani, ndr) accusava e insultava Belleggia per aver colpito quel ragazzo senza motivo. Quando siamo arrivati ad Artena ho detto a tutti di prendersi le proprie responsabilità. E quando i carabinieri ci hanno portati in caserma ero ignaro di tutto». La descrizione dei colpi e il racconto di quei momenti sembra mirata a contrastare i risultati dell’autopsia. Poi il tentativo di scagionare il fratello: «Mio fratello Gabriele mi disse che aveva colpito un altro ragazzo perché temeva colpisse me e che non colpì invece Willy».
«Michele Cerquozzi e Omar Sahbani ci aspettavano nella piazza dei locali, a Colleferro, quando più volte hanno chiamato per dirci che c’era una lite sono tornato con mio fratello, Vittorio (Tondinelli, ndr) e le tre ragazze in macchina con noi. Ma assolutamente non correvo, come è stato detto. Quando siamo arrivati nella piazza della movida ho visto la folla di gente accalcata nei giardinetti. Mi sono impanicato, ero agitato. C’erano delle persone, ma andavo a 15/20 km orari al massimo. Ho spento la macchina e sono sceso tranquillamente, come tutti gli altri, mi sono avvicinato cercando i miei amici, Omar e Michele. Quando sono arrivato c’era tanta gente, mi sono permesso di spingerli non di picchiarli. Se li avessi picchiati perché non sono andati a farsi refertare in ospedale?». Una decina di testimoni hanno invece già raccontato della furia con cui i due fratelli si precipitarono nella lite, colpendo tutti indistintamente.
Tocca poi a Gabriele Bianchi sottoporsi all’esame del pm. Il suo tono è più aggressivo, quasi di sfida. Si sente vittima: «Aspetto questo momento da un anno e due mesi, non vedo l’ora di rispondere a tutte le domande. Io ho notato che c’è stato un odio mediatico nei nostri confronti. La feccia di Colleferro ha parlato male di noi: è come se ognuno abbia voluto mettere qualcosa contro di noi; per questo tutti dicono che io ho colpito Willy perché influenzati dai media. Perfino i nostri amici sono stati influenzati dalla situazione mediatica, alcuni manipolati da genitori preoccupati che potessero finire nei guai – aggiunge – In parte posso capirli, so che sono stati minacciati solo per essere nostri amici». Sulla dinamica, nei fatti, descrive l’aggressione di cui è accusato ma indicando come vittima l’amico di Willy, Cenciarelli, che però nessuno ha visto essere colpito in quei 30 secondi né tantomeno ha raccontato di essere stato picchiato: «Non ho colpito Willy — dice Gabriele Bianchi — ma ho spinto e dato un calcio al petto a Samuele Cenciarelli (l’amico del 21enne, ndr). Me ne vergogno, e chiedo scusa a lui e alla sua famiglia. Ma quando sono arrivato e ho visto che guardava fisso Omar e mio fratello, temendo potesse colpirli, gli ho sferrato un calcio al petto, facendolo finire contro una macchina».
Gabriele Bianchi si scagiona attaccando Belleggia, ripetendo un copione già visto nella fase delle indagini preliminari: «Francesco Belleggia gli ha dato un calcio al collo mentre Willy era a terra, senza pietà. Da infame. Gabriele e Marco Bianchi una cosa del genere non l’avrebbero mai fatta. Sono vicino al dolore dei familiari di Willy perché anche io ho un figlio. Il fatto che Belleggia sia ai domiciliari mi provoca una grande rabbia. Io lo so per certo che non aveva intenzione di uccidere Willy ma lui deve dire la verità. Io per dormire devo prendere tranquillanti e ringrazio gli psicologi del carcere». Poi si associa a Willy: «La morte di Willy ci ha distrutto le vite come alla sua famiglia». La mamma della vittima resta in silenzio.
Infine Belleggia, il cui ruolo è rimasto finora più defilato e che si è guadagnato la fiducia dei giudici con le dichiarazioni e le ammissioni rese al momento dell’arresto, tanto da ottenere i domiciliari : «Non ho mai colpito Willy. Marco Bianchi lo ha colpito più volte con una scarica di pugni, anche dopo che si era rialzato». corriere.it