Veroli, “La serie A ad un passo, bottiglie di vino bianco in panchina e il titolo di Mister Basket”

Coach Nello Paratore, già allenatore della nazionale italiana, lo avrebbe voluto in serie A ma il trasferimento non si concretizzò. Negli anni ’70 il pivot giallorosso Giancarlo Fiorini era nel mirino delle squadre più blasonate d’Italia. Intervistato dalla direttrice di Area C quotidiano, il leone di Veroli racconta gli anni trascorsi sul parquet.

Cosa significa indossare la maglia giallorossa? «Per me il Veroli è stata da sempre la casa del basket e negli ultimi il grande basket ha trovato ancor più una casa a Veroli raggiungendo risultati eccellenti. In virtù di tale valenza sono orgoglioso di aver indossato, seppur in un contesto temporale diverso, la maglia giallorossa».

Come e quando ha iniziato a giocare a pallacanestro? «All’inizio degli anni ’60, eravamo un gruppo di amici. Avevamo realizzato un campo in un tratto di via Passeggiata San Giuseppe. Il canestro era costituito da un palo che reggevamo a turno. Tutto ciò perché la palestra di San Martino era stata privata dei canestri ormai obsoleti. Sembra una storia di altri tempi ma è la realtà».

Il ricordo più bello? «Un paio. Uno è la conquista della promozione con la maglia del Basket Alatri, l’altro, forse ancor più, la conquista della coppa di “Mister Basket”, coppa che conservo gelosamente a casa come una reliquia, ottenuta nel maggio del 1972 a conclusione di un torneo che comprendeva le migliori squadre romane. Allora giocavo con la squadra della Lazio».

Un aneddoto che non si conosce? «Un po’ grottesco… partecipavamo con il Veroli ad una competizione nei pressi di Vallecorsa (FR). Alla fine del primo tempo ci portarono per dissertarci delle bottiglie di vino bianco fresco, abbastanza gradevole e in assenza di acqua ne facemmo un discreto uso. Si può facilmente intuire come fu il rientro in campo nel secondo tempo. Il canestro era diventato piccolo e fortunatamente per noi anche la squadra avversaria si trovava nella medesima situazione».

Qual è stato il primo campo e quanto le piace il nuovo palazzetto di Veroli? «Il primo campo di gioco è stata la palestra Coni di Frosinone. Erano gli anni del basket fatto di calzoncini improponibili, attillati e di scarpette di tela basse. Il palazzetto di Veroli è uno dei più belli d’Italia ma oggi rappresenta una “cattedrale nel deserto”. Spero possa tornare la casa di importanti manifestazioni cestistiche e che possa diventare un trampolino di lancio verso nuove e avvincenti sfide».

Il quintetto ideale dalla nascita del Basket Veroli ai giorni nostri? «Sicuramente Robinson, Nissim, Jackson, Gatto, Hines. Dei fuoriclasse».