Vaiolo delle scimmie, rapporti sessuali dolori muscolari vescicole e incubazione
Scatta l’alert anche in Veneto per il vaiolo delle scimmie, diagnosticato il 4 maggio nel Regno Unito su un uomo proveniente dalla Nigeria e finora dilagato in 80 pazienti tra Gran Bretagna, Belgio, Francia, Germania, Italia, Portogallo, Spagna, Svezia, Australia, Canada e Stati Uniti. Tre uomini, ricoverati all’Istituto Spallanzani di Roma in condizioni non gravi, sono al momento gli unici soggetti infettati nel nostro Paese, ma il ministero della Salute ha alzato l’allerta con una circolare inviata il 16 maggio alle Regioni. E il 19 maggio da Palazzo Balbi è partita una nota per i primari dei Pronto Soccorso e per urologi, dermatologi, infettivologi e medici di famiglia, nella quale si legge: «Si chiede di considerare l’infezione da vaiolo delle scimmie nella diagnosi differenziale in pazienti con rash vescicolari, soprattutto in Msm (gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini, ndr). I casi sospetti devono essere isolati e testati tempestivamente e, una volta anonimizzati, segnalati alla Regione. Gli operatori sanitari che assistono i casi devono indossare idonei dispositivi di protezione individuale. Per i casi confermati devono essere implementate da subito le attività di tracciamento, comprendendo gli operatori sanitari e non che hanno avuto contatti con i pazienti durante la permanenza nelle strutture sanitarie».
Va detto che il professor Emanuele Nicastri, direttore della Divisione di Malattie Infettive ad elevata intensità di cura allo Spallanzani, ha sottolineato: «Non c’è ancora la certezza che questa malattia colpisca in particolare gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini, quindi non creiamo inutili ghettizzazioni». Prova a fare un po’ di chiarezza la professoressa Antonella Viola, biologa all’Università di Padova e direttore scientifico dell’Istituto di Ricerca pediatrica «Città della Speranza»: «Bambini e adulti nati dopo il 1981 hanno un maggior rischio di contrarre il vaiolo delle scimmie, ma ancora il numero dei contagi è basso, quindi niente allarmismo. I giovani non sono vaccinati contro il vaiolo, perciò l’immunità a livello di comunità è calata, inoltre i viaggi frequenti favoriscono la circolazione del virus. Non possiamo escludere che sia mutato e sia diventato più trasmissibile per gli uomini». Il vaiolo delle scimmie colpisce prevalentemente questi e altri animali selvatici, solo talvolta passa all’uomo. La circolare inviata dal ministero della Salute alle Regioni spiega che «generalmente non è pericoloso, ma in alcuni casi il tasso di mortalità è significativo: per il ceppo dell’Africa occidentale è di circa l’1%, per quello del Congo può arrivare al 10%». Il contagio avviene prevalentemente per contatto con animali infetti o con persone che hanno soggiornato in zone a rischio, attraverso il contatto diretto con le vescicole, con i fluidi corporei, le goccioline di saliva e indumenti contaminati.
«Il periodo di incubazione è generalmente compreso tra 5 e i 21 giorni — prosegue la nota del ministero —. I fattori di rischio conosciuti sono il contatto con animali attraverso la caccia e il consumo di selvaggina. Si tratta di un virus simile a quello del vaiolo umano e infatti la vaccinazione contro quest’ultimo protegge anche contro l’infezione delle scimmie». Ma il vaccino contro il vaiolo, dopo l’unità d’Italia obbligatorio per tutti i nuovi nati a partire dal 1888, non è più imposto dal 1981, poiché nel maggio 1979 l’Organizzazione mondiale della Sanità ha dichiarato eradicata la malattia. È possibile un ritorno dell’obbligo? «È troppo presto per trarre conclusioni — dice la professoressa Viola — finora il vaiolo delle scimmie non si è diffuso ampiamente negli esseri umani. Speriamo che anche questa volta i contagi si fermino a pochi casi».
Quando dobbiamo preoccuparci? «I sintomi sono febbre, dolori muscolari e successivamente vescicole e pustole simili a quelle della varicella, soprattutto sul viso e nelle zone dei genitali — spiega la professoressa Evelina Tacconelli, docente di Malattie infettive all’Università di Verona e primario dell’Azienda ospedaliera scaligera —. Nel Regno Unito sembrerebbe esserci un numero di casi associati a rapporti sessuali, per questo motivo è richiesta attenzione nei Centri infettivologi, urologici e dermatologici che gestiscono anche casi di malattie sessualmente trasmesse». «Al momento non ci sono segnalazioni di infetti nel Veneto — aggiunge il dottor Biagio Epifani, direttore del Pronto Soccorso di Mirano e presidente della Simeu, sigla di categoria, per Veneto, Bolzano e Trento —. La malattia si trasmette per contatto molto stretto, attraverso liquidi biologici e mucose. L’emergenza Covid ha insegnato sia agli operatori sanitari che ai cittadini una certa prudenza. Noi utilizziamo sempre i dispositivi di protezione individuale e tra la gente c’è una buona sensibilità. Per ogni eventuale infetto scatta il contact tracing, cioè il tracciamento dei contatti stretti». Secondo lo Spallanzani sono circa una decina per paziente. corriere.it