Crisi in Gran Bretagna, Liz Truss lascia «Ho già avvertito il re»
Cala il sipario, ingloriosamente, sulla più breve leader di governo della storia britannica: Liz Truss si è dimessa dopo soli 45 giorni a Downing Street. Il suo governo era imploso e lei aveva perso la fiducia del suo partito conservatore dopo una azzardata manovra finanziaria che aveva rischiato di affossare l’economia britannica: e stamattina i maggiorenti del partito le hanno fatto visita per dirle che il tempo era scaduto ed era ora di farsi da parte. La Gran Bretagna precipita così in una crisi senza precedenti: solo a luglio Boris Johnson era stato estromesso e ora Londra si avvia ad avere il terzo primo ministro nel giro di poco più di tre mesi. Il successore di Liz Truss sarà scelto la prossima settimana in base a una sfida all’interno del gruppo parlamentare conservatore, ma non è escluso che si vada a una «incoronazione» di un candidato unico: il favorito è Rishi Sunak, l’ex cancelliere dello Scacchiere che era stato sconfitto a settembre da Liz Truss nella corsa alla guida del governo. La premier uscente ha annunciato la resa con un breve discorso davanti al numero 10 di Downing Street: «Sono entrata in carica in un momento di grande instabilità economica e internazionale – ha detto -. E il nostro Paese è stato bloccato a lungo da una bassa crescita economica. Sono stata eletta con un mandato per cambiare ciò: riconosco, tuttavia, data la situazione, che non posso portare a termine il mandato. Ho quindi parlato con Sua Maestà il Re per informarlo che mi dimetto da Leader del Partito Conservatore». Nessuna ammissione di colpa, dunque, ma un rimando alle circostanze avverse. Sulle quali c’è poco da dubitare: ma alle quali Liz Truss ha però reagito con una strategia avventata, accecata da una ideologia ultra-liberista e neo-thatcheriana. Un azzardo che si è infranto contro il muro della realtà: i suoi drastici tagli alle tasse, finanziati a debito, sono stati bocciati dai mercati internazionali. La premier è stata costretta dunque a una umiliante marcia indietro che ne ha distrutto la credibilità e ha portato alla sua estromissione. Nei giorni scorsi la premier era già stata costretta — per tentare di resistere — a sacrificare il suo maggiore alleato, il cancelliere Kwasi Kwarteng , e sostituirlo con Jeremy Hunt, un moderato che è apparso subito come il vero premier di fatto: una situazione insostenibile. L’implosione del governo britannico è avvenuta sotto gli occhi di tutti nel Parlamento di Westminster, dove si è assistito ieri sera a scene caotiche: il governo aveva fatto sapere di considerare una votazione sul fracking, le trivellazioni di profondità, come «un voto di fiducia» e aveva minacciato di sospendere dal partito conservatore quei deputati che si fossero espressi contro; ma quando un corposo numero di onorevoli ha minacciato la ribellione, l’esecutivo è stato costretto a fare marcia indietro, cosa che ha causato le dimissioni immediate dei due capigruppo. La via d’uscita dall’impasse appare però difficile da individuare. Il partito conservatore è esausto, sfibrato dalle convulsioni del dopo-Brexit e anche con un nuovo leader sembra ormai incapace di proporre soluzioni. L’opposizione laburista chiede di dare la parola al popolo e andare a elezioni anticipate, nella sicurezza di stravincerle: ma anche il Labour non sembra fornito di una strategia di lungo periodo. È l’intera statura internazionale della Gran Bretagna che risulta compromessa da questa crisi infinita: un Paese che ha ancora grandi risorse, ma che dovrà fare appello a tutte le sue energie per uscire dalle secche in cui si è cacciato. corriere.it