Maria Mesi, ecco l’amante del boss Messina Denaro indagata per favoreggiamento 

Nomi noti e antiche relazioni evidentemente mai interrotte: nell’indagine sulla latitanza di Matteo Messina Denaro  tornano i protagonisti di un passato lontano. Come Maria Mesi, 54 anni, fidanzata del capomafia più di 20 anni fa, e suo fratello Francesco. Entrambi già condannati per favoreggiamento. Il Ros si è presentato ieri a casa loro. Una palazzina gialla in via Milwaukee, ad Aspra, frazione marinara di Bagheria, a pochi metri dall’alcova in cui la donna, negli anni 90, incontrava il padrino di Castelvetrano, allora già ricercato. Gli inquirenti sospettano che i fiancheggiatori di un tempo abbiano continuato ad avere legami con il boss e un ruolo recente nella sua latitanza. Per questo i militari dell’Arma, che hanno passato al setaccio anche una casa di campagna dei Mesi e la torrefazione di famiglia Agorà, hanno sequestrato telefonini e pc che verranno esaminati nei prossimi giorni. Maria e Francesco sono di nuovo indagati per favoreggiamento. Corsi e ricorsi che non sorprendono i magistrati. In un pizzino scritto al boss Bernardo Provenzano nel ‘94 Messina Denaro illustrava, infatti, la sua «filosofia». «A Marsala — diceva — hanno arrestato i rimpiazzi e i rimpiazzi dei rimpiazzi, quando avranno finito con le persone arresteranno pure le sedie. Quindi dobbiamo aspettare quelli che hanno le cose più leggere», cioè la scarcerazione degli «amici» condannati a pene minori. Come la Mesi che per aver coperto il padrino ebbe solo 2 anni perché in Cassazione cadde l’aggravante mafiosa. Seguendo le tracce della love story, gli investigatori arrivarono a un soffio dal capomafia. Grazie ai collaboratori di giustizia il pm dell’epoca, Roberto Piscitello, scoprì la casa in cui i fidanzati si incontravano. Venne perquisita: il covo era ancora «caldo». Furono trovati cibo, un foulard Hermes appartenuto al latitante, una consolle Nintendo. Fuori fu piazzata una telecamera: per un mese si aspettò che Messina Denaro tornasse dall’amante. Ma qualcosa andò storto. Una fuga di notizie, probabilmente. E il padrino restò invisibile. A giugno del 2000 Maria venne arrestata. Anni dopo furono trovate alcune appassionate lettere che la donna aveva scritto al fidanzato. Un legame d’amore e di mafia il loro: la Mesi, infatti, era molto vicina ai fedelissimi del boss come Filippo Guttadauro, cognato di Messina Denaro, e suo fratello Carlo, titolare della Sud Pesca, l’impresa presso la quale la donna lavorava. Secondo gli inquirenti, la società, nel tempo, avrebbe dato impiego a diversi favoreggiatori del capomafia: uno per tutti Matteo Cracolici, un narcotrafficante condannato per aver prestato al padrino l’identità. In questo intreccio di relazioni pericolose c’è un ultimo tassello: il fratello della Mesi, Francesco, era un dipendente dell’ingegnere Michele Aiello, prestanome del boss Provenzano, «re Mida» della sanità privata condannato a 16 anni per mafia. Lo stesso magistrato che ha arrestato Messina Denaro, Maurizio de Lucia, scoprì che l’ingegnere aveva messo su una rete di spie, usando anche investigatori infedeli, per informare i boss latitanti delle mosse della Procura. corriere.it