Niente ’68, le scuole super severe hanno la meglio corridoi silenziosi e poesie nelle mense

La Michaela Community School guida la lista delle scuole severissime che rimettono la disciplina al centro: un recente articolo dell’Economist la consacra come uno degli istituti migliori e più in voga a Londra. Sono tante ormai le scuole che optano per un approccio rigido e vengono, anche in virtù di questo, premiate dall’Ofsted (l’agenzia governativa che valuta i risultati delle scuole). Va detto che si tratta di un nuovo rigore, ovvero di una concezione differente della severità, che non contempla il castigo, bensì la gratificazione: una visione comunque controversa e osteggiata da pedagogisti e psicologi. «I’m the master of my fate»: sono il padrone del mio destino, recitano in coro i bambini del Michaela, a nord di Londra. Nei corridoi regna il silenzio e a mensa, tra un pasto e l’altro, scandiscono versi poetici, diretti da un insegnante che dà loro l’incipit di ogni verso. Benvenuti nella scuola del neo-rigore: un modello a cui si ispirano ormai diversi istituti del Regno Unito che propongono un nuovo metodo educativo basato su un concetto rivisitato di severità incentrato sulla gratificazione e non su un modello punitivo. Il neo rigore fissa standard molto elevati, punta in alto, ma non confonde la selezione con la discriminazione, né l’autorevolezza con l’autoritarismo. In queste scuole si lavora duro e si è gentili e, soprattutto, viene rafforzato il concetto che i traguardi ambiziosi si ottengono con la fatica. Un concetto che per molti anni è stato un tabù, visto che la pedagogia puntava semmai sulla necessità di far capire ai bambini e ai ragazzi che il voto non è un voto sulla loro persona, ma su uno specifico compito, valorizzare, dialogare, motivare, includere. Al Michaela si trovano cartelloni luminosi con slogan che incitano all’eccellenza e all’impegno duro e il livello medio degli studenti negli esami di maturità – i cosiddetti A-levels – si aggira tra quasi ottimo e ottimo. Il trend britannico si inserisce nella polemica mai sopita tra fautori di un ritorno alla disciplina che fu travolta dal 68 e pedagogisti e psicologi convinti che la mortificazione e l’eccesso di durezza siano nemici dell’apprendimento e foriero di stress. Quelli che sostengono che i voti sotto al quattro traumatizzino gratuitamente e quelli che sottolineano che qualche volta il voto duro è una chiamata alla responsabilità dell’alunno e che del resto là fuori la società non è poi così morbida e tanto vale impararlo sin da ragazzi. Due fronti opposti, che raramente hanno dialogato. L’equilibrio forse sta in quella parola: «neo rigore», che si scrolla di dosso le punizioni corporali, i testi imparati a memoria senza chiedersi il significato, la mancanza di empatia e quella punta malcelata di sadismo nei metodi. Severità può anche voler dire che si studia a memoria ma cercando di capire, che il silenzio fa bene e non è necessariamente ammantato di terrore, che l’ambizione è cosa buona e giusta, chele frustrazioni sono inevitabili e terapeutiche. corriere.it