Carcere in mezzo all’acqua per gli immigrati, “Non li vogliamo nei nostri paesi”
È il simbolo concreto e visibile della legge appena approvata a Londra sull’immigrazione illegale: l’enorme chiatta lunga quasi cento metri è arrivata ieri mattina nel porto di Portland, nel Dorset, e dalla fine del mese comincerà a ospitare i primi richiedenti asilo, in attesa che la loro domanda venga vagliata. È il segnale della linea dura del governo di Rishi Sunak, che intende deportare in Ruanda chi arriva illegalmente nel Regno Unito. L’arrivo della Bibby Stockholm è stato salutato da proteste: molti residenti locali non vogliono saperne di diventare un centro di smistamento per i profughi, ma allo stesso tempo i difensori dei diritti umani denunciano il trattamento imposto ai migranti. La chiatta, grande quanto un campo di calcio e altra tre piani, potrà ospitare fino a 500 persone, tutti maschi adulti: non saranno detenuti, perché saranno liberi di andare e venire. Attualmente, i richiedenti asilo vengono ospitati in alberghi, con un costo per i contribuenti di 6 milioni di sterline al giorno (circa 7 milioni di euro). Oltre alla Bibby Stockholm, il governo di Londra intende utilizzare quattro siti militari: e i primi tre sono in grado di accogliere quasi cinquemila persone. La chiatta è soprattutto un deterrente che serve a mandare un messaggio: gli immigrati irregolari non saranno trattati con i guanti. Sunak ha promesso solennemente di fermare gli sbarchi illegali attraverso la Manica: l’anno scorso sono arrivati 45 mila clandestini e dall’inizio di quest’anno la cifra è di 13 mila. In base alla legge appena approvata, chi arriva illegalmente potrà essere deportato in Ruanda, anche se questa norma è stata al momento bloccata da una Corte d’Appello (il governo farà ricorso alla Corte suprema). Il passaggio della legge in Parlamento è stato accolto con parole durissime dalle Nazioni Unite, che l’hanno definita «una violazione della legalità internazionale». In un comunicato congiunto, il responsabile Onu per i diritti umani, Volker Turk, e quello per i rifugiati, Filippo Grandi, hanno lamentato che la nuova legge «avrà profonde conseguenze per le persone che necessitano di protezione internazionale». «Questa nuova legislazione erode in maniera significativa la cornice legale che ha protetto così tante persone ed espone i rifugiati a gravi rischi», hanno detto. L’ondata di sbarchi attraverso la Manica, cresciuta esponenzialmente negli ultimi tre anni, si fa beffe dell’obiettivo proclamato della Brexit di «riprendere il controllo dei confini»: ed è per questo che «fermare i barchini» è diventata una delle priorità del governo Sunak, secondo il quale solo una linea inflessibile potrà mettere fuori gioco il business dei trafficanti di persone. In realtà, la Gran Bretagna non è pregiudizialmente ostile all’immigrazione: anzi, dopo la Brexit gli ingressi legali si sono moltiplicati, fino a toccare l’anno scorso il milione e 200 mila persone. L’opinione pubblica è del tutto rilassata rispetto all’immigrazione regolare: ciò che fa problema sono gli arrivi illegali, anche perché gli sbarchi avvengono dalla Francia, non da Paesi come Tunisia o Libia, e una buona fetta dei clandestini arrivati l’anno scorso erano giovani albanesi, quindi non persone bisognose di asilo e protezione.
Sull’immigrazione illegale Sunak si gioca la faccia: ma è interessante notare che pure i laburisti hanno evitato di dire che farebbero a meno della chiatta in mezzo al mare e non hanno neppure promesso di ribaltare la norma sulla deportazione in Ruanda. Quando il Labour sarà con tutta probabilità al potere, l’anno prossimo, difficilmente allenterà la stretta sull’immigrazione illegale, consapevole che deve recuperare consensi fra quei ceti popolari particolarmente ostili agli irregolari. corriere.it