Nuovo Olimpo, ecco il film autobiografico di Ferzan Özpetek

Da quando – e grazie al cielo – l’omosessualità maschile non è più argomento di ironia o farsa nel cinema italiano, non sono molti i film che la trattano. E quando lo fanno diventa quasi pretesto per altro: l’intolleranza (come nel film di Beppe Fiorello) o l’oscurantismo religioso-politico (nel «Signore delle formiche» di Amelio) oppure serve a rendere più complesso un carattere (quello di Silvio Orlando in «Il bambino nascosto»). Per questo «Nuovo Olimpo» di Ferzan Özpetek, sabato 21 ottobre a Roma nella sezione «Grand Public», in qualche modo sorprende, perché il soggetto del film, il suo «core business» è proprio nella forza e nella persistenza dell’amore omosessuale al maschile, tema dal regista sempre trattato nei suoi film (questo è il quattordicesimo) ma mai con una centralità così sottolineata. A ribadirlo, c’è anche la didascalia iniziale «tratto da una storia vera», a sottolineare il coinvolgimento personale dello stesso regista, visto che il protagonista Enea (Damiano Gavino) inizia come studente di cinema e assistente volontario per diventare poi regista a pieno titolo. Esattamente come Özpetek, che comunque non ha certo fatto mistero della forte componente autobiografica di questa storia che ha sceneggiato con Gianni Romoli (e che dal primo novembre si vedrà in esclusiva su Netflix). Dopo un inizio su un set cinematografico, specie di rifacimento-omaggio a «Gloria – Una notte d’estate» con Jasmine Trinca nei panni che furono di Gena Rowlands, seguiamo Enea nelle sue peregrinazioni sessual-cinematografiche all’interno del cinema romano Nuovo Olimpo, dove può saziare la sua fame cinefila (si programmano solo «capolavori», da «Mamma Roma» a «Nella città l’inferno») e la sua voglia di avventure, visto che i corridoi e le toilette sono luoghi di incontri. È qui che conosce Pietro (Andrea De Luigi), tentato dall’avventura ma contrario a consumarla nel bagno del cinema. Dovranno aspettare ventiquattr’ore per offrirsi l’uno all’altro, nell’appartamento rimediato dall’amica con cui Enea divide anche il letto, a sottolineare da subito che anche negli anni Settanta (quando il film comincia) non aveva senso parlare di differenze e divisioni sessuali. Protetti nelle loro timidezze (soprattutto quella di Pietro) la loro passione esplode, ma il destino gioca loro un brutto scherzo e i due vengono divisi senza sapere come potersi ritrovare. A questo punto il film attraversa i decenni per arrivare fino al 2015, mostrandoci le strade separate che i due percorrono, Enea coronando la sua voglia di regia e dividendo la vita con un ingegnere culturista e culinario (Alvise Rigo) e Pietro diventando un affermato chirurgo sposato con Giulia (Greta Scarano), ognuno mantenendo dentro di sé il ricordo di quel passato incontro. Se i due si rincontreranno lo dirà il film, ma in fondo non è questo che sembra interessare a Özpetek, quanto la voglia di tessere l’elogio di una sessualità libera e istin tiva, quella che la macchina da presa non cerca assolutamente di nascondere nelle scene di sesso, filmate con una «libertà» insolita per il cinema mainstream (per non parlare di quello in streaming) e che finisce per semplificare forse troppo la componente più melodrammatica del plot. corriere.it