Candeggina nel vino della messa, prete rischia di essere avvelenato
Hanno tentato di avvelenarlo versando candeggina nelle ampolle del vino e dell’acqua: bersaglio di una nuova intimidazione è stato don Felice Palamara, parroco di San Nicola di Pannaconi, una frazione di Cessaniti in provincia di Vibo Valentia. Il sacerdote, durante la messa di sabato pomeriggio, ha consacrato le ampolle dell’acqua e del vino e, accostando il calice alla bocca, ha avvertito uno strano odore che lo ha messo in guardia. Ha quindi interrotto la celebrazione dicendo ai fedeli di non sentirsi bene. Le analisi hanno subito confermato la presenza nelle ampolle di candeggina. Da qui la denuncia ai carabinieri. Del fatto è stato informato anche il vescovo della Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea Attilio Nostro. Il gesto avrebbe potuto avere conseguenze molto gravi sul parroco che soffre di asma ed è anche cardiopatico. «Sono certo che questa ennesima intimidazione non proviene però dai miei parrocchiani — ci tiene a sottolineare don Felice Palamara al Corriere —. Sono a Pannaconi da dieci anni e con la gente del posto ho sempre avuto un rapporto di amore e di reciproco affetto». Chi e per quale ragione quindi ce l’ha con il parroco? Non è la prima intimidazione che subisce don Palamara. Non più tardi di un mese fa la sua auto, parcheggiata nelle vicinanze della chiesa, è stata danneggiata per una seconda volta. Nella sua cassetta delle lettere sono state recapitate diverse lettere anonime con minacce di morte. Questa volta, però, i suoi nemici hanno utilizzato maniere più incisive per cercare di intimidirlo arrivando a fargli del male. I carabinieri stanno esaminando i filmati delle telecamere della zona per individuare i responsabili. Nei giorni scorsi un altro prete, don Francesco Pontoriero , parroco della vicina Cessaniti, ha ricevuto a sua volta un’intimidazione: un gatto morto è stato depositato sul cofano della sua automobile. Anche lui ha ricevuto inoltre lettere minatorie. L’idea è che i tanti episodi siano riconducibili a un attacco alla Chiesa di questi territori. I due preti, attraverso i loro appelli alla legalità, potrebbero aver dato fastidio a chi in questi paesi spera di legittimare un potere attraverso ricatti e prepotenze. Nel commentare la nuova intimidazione don Felice si è espresso con il linguaggio della fede: «La mia vendetta si chiama amore, il mio scudo perdono, la mia armatura misericordia», ha affermato il parroco di Pannaconi. Dopo le minacce subite al sacerdote, su disposizione del questore di Vibo Valentia, è stata assegnata la vigilanza 24 ore su 24. «Sono sereno — ha detto il prete — anche se oltre al perdono e alla misericordia, spero che la giustizia riesca a fare chiarezza su questi episodi criminosi». Il paese oggi è governato da un commissario prefettizio dopo che lo scorso agosto il sindaco si è dimesso: in seguito all’operazione «Maestrale Carthago» sarebbero emersi possibili condizionamenti mafiosi sull’amministrazione locale. Sul caso è intervenuto il vescovo Attilio Nostro che per esprimere la sua solidarietà ai sacerdoti minacciati aveva già concelebrato con loro alcune messe proprio a Pennaconi. «La Diocesi — ha dichiarato il vescovo dopo la sua visita al parroco in una nota — sta vivendo un momento di sofferenza a causa di atti intimidatori che nulla hanno a che fare con la normale vita cristiana delle parrocchie. Per questo mi appello nuovamente alle comunità cristiane perché non si lascino scoraggiare da questo linguaggio di violenza. Non dobbiamo cedere a questa logica, facendoci tentare dallo sconforto e dalla rabbia». E ha concluso: «Non possiamo accettare questo linguaggio, non dobbiamo rispondere all’odio con odio, sapendo che non è possibile dialogare davvero con chi si rifiuta di farlo». Anche la comunità di Pannaconi si è stretta attorno al sacerdote: «Non permetteremo a nessuno di fare del male al nostro parroco, nessuno potrà fermare un paese che vuole e merita riscatto e che vuole crescere». corriere.it