Aldo Moro e Caduti di via Fani, Frosinone tra le prime città in Italia
La città di Frosinone, storicamente feudo democristiano, fu tra le prime in Italia a intitolare una via allo statista Aldo Moro e una piazza, altrettanto centrale, ai Caduti di via Fani. Ma cosa accadde il 16 marzo 1978?
Le Brigate Rosse raggiungono l’apice del terrore: l’attacco al cuore dello Stato. Alle 9,02 in via Fani, all’incrocio con via Stresa, nel quartiere Trionfale a Roma, un commando, composto da circa 19 brigatisti, rapisce il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro e uccide i cinque componenti della scorta: il Maresciallo dei Carabinieri Oreste Leonardi, l’appuntato Domenico Ricci, il Brigadiere Francesco Zizzi, l’agente Raffaele Jozzino e l’agente Giuliano Rivera.
Sono loro i caduti di via Fani. Il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro sono avvolti tuttora da un alone di mistero. Sicuramente il presidente DC non era ben visto all’estero. Il conto fra Moro e il Dipartimento di Stato americano, ad esempio, si apre nel 1964 quando il leader democristiano si rivolge ai socialisti e sostiene il superamento del centrismo in Italia. Gli statunitensi all’inizio contestano poi si adeguano. Ma quando Moro intende passare a un’altra alleanza, quella con i comunisti e mira ad avviare il cosiddetto compromesso storico, la situazione sfugge di mano e persino forze straniere entrano in gioco.
Ecco allora la strage di via Fani e il rapimento del presidente della DC. Alcuni partiti reagiscono sposando la linea della fermezza: PCI, PLI, PSDI e PRI e la stessa DC. Per la trattativa invece i socialisti di Bettino Craxi, i radicali, la sinistra non comunista, una componente del cattolicesimo dissidente e uomini di cultura come Leonardo Sciascia.
Oltre all’ONU, ad Amnesty International, ad esponenti politici ed organizzazioni umanitarie mondiali, si mobilita per la liberazione di Moro anche Papa Paolo VI, suo amico di vecchia data, che tramite Radio Vaticana diffonde un appello “agli uomini delle Brigate Rosse” in cui, tuttavia, il Pontefice chiede che l’ostaggio venga liberato “senza condizioni”, così avallando la linea della fermezza. Anche Sandro Pertini, futuro presidente della repubblica, dice di non voler seguire il funerale di Moro ma neppure quello della repubblica.
Insomma l’Italia si divide anziché fare fronte comune. Dopo quasi due mesi, segnati da ulteriori attentati delle BR e dalle strazianti lettere probabilmente scritte da Moro, il 9 maggio 1978 la telefonata del brigatista Morucci annuncia la morte dello statista.
Il corpo viene fatto ritrovare nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, a Roma, in via Caetani, a pochi passi dalla sede del PCI e dalla sede della DC. DC che in quei 54 drammatici giorni avrebbe potuto fare di più. Forse però preferì fare a meno del numero uno.
Redazione Frosinone