Sinner numero 1 al mondo, è il primo italiano nella storia del tennis

Non è come avrebbe voluto diventarlo. Con un Djokovic crepuscolare ritirato dal Roland Garros a causa dell’infortunio al menisco mediale del ginocchio destro, stressato dalle maratone con Lorenzo Musetti e Francisco Cerundolo (a rischio per il serbo, a questo punto, anche Wimbledon). Una resa più che onorevole, al tempo che non fa sconti a nessuno. Trentasette anni, e sentirli tutti, 24 titoli Slam, più tutto il resto. Sic transit gloria Djoker. E così lunedì 10 giugno, quando Parigi avrà necessariamente un nuovo padrone (l’uomo di Belgrado era anche il campione in carica), il ranking si ritroverà un re inedito sul trono. Per la prima volta nella storia è italiano, avrà 22 anni e 299 giorni nella data storica del primato, il suo nome è Jannik Sinner.
Il sorpasso era questione di giorni, al massimo settimane, urlato da qualcuno sugli spalti mentre stava liquidando la pratica Dimitrov, scritto nelle stelle e deciso dall’allineamento dei pianeti come ogni pietra miliare piantata nel tennis dal predestinato con i capelli rossi e il braccio più veloce a ovest dell’Adige: più giovane giocatore azzurro a vincere un Challenger (Bergamo 2019), a spingersi avanti in una prova Atp (semifinale dell’Atp 250 di Anversa 2019) e a raggiungere i quarti in uno Slam (Parigi 2020); ad aver conquistato un torneo nell’era Open (Atp 250 di Sofia 2020 a 19 anni, 2 mesi e 29 giorni); ad entrare nei top 10 (n.9 il primo novembre 2021 grazie alla finale al Master 1000 di Miami e ai quattro tornei sbancati nella stagione, che gli riserva la ciliegina sulla torta delle Atp Finals da sostituto di Berrettini infortunato). 
Mica male per uno che dice che i record non gli interessano. Immediatamente smentito dai successi travolgenti dell’annus mirabilis 2023: il primo titolo Master 1000 (Toronto), l’abbattimento a raffica di inveterati tabù (Medvedev, Djokovic, Rune), la finale al Master di Torino, il trionfo in Coppa Davis da leader della Nazionale e, sul prolungamento di un’inerzia dilagata nel 2024, l’Australian Open a Melbourne più Rotterdam e Miami.
L’avvicinamento alla vetta è stato così violento e definitivo da mandare in crisi Djokovic, alle prese con un rivale che da novembre dell’anno scorso non ha più battuto (vedi Malaga e Melbourne): metabolizzato il cambio di allenatore (da Riccardo Piatti alla coppia Vagnozzi-Cahill ma le basi di questa scalata sono state gettate dal maestro di Como, il mentore che Jannik non ha mai più nominato, nemmeno sotto tortura, manifestando in pubblico un’indifferenza che non è passata inosservata, anzi, è stata vissuta come immotivata ingratitudine), Sinner per il fuoriclasse serbo dei 24 titoli Major è diventato un rebus in grado di mandarne in tilt le sopraffine meningi, fino a scatenare nel migliore una crisi di rigetto motivazionale, tuttora irrisolta. 
È proprio osservando Djokovic che Jannik ne è diventato l’erede dalle caratteristiche simili. Il processo di imitazione trova la sua ricompensa in una leadership del tennis mondiale che, una volta conquistata, andrà difesa dall’assalto di Carlos Alcaraz, il fuoriclasse della Next Next Gen, la nemesi più giovane (21 anni appena compiuti), l’unico che — al top della forma — è in possesso di una gamma di colpi e soluzioni superiore al barone rosso. Estro contro razionalità, Spagna-Italia come a pallone: la rivalità — che goduria — del prossimo decennio.
Sinner riesce dove fallirono per pigrizia Adriano Panatta e per incompletezza di talenti (e per talento intendiamo anche la dote di tenersi lontano dagli infortuni) tutti gli altri. Senza scomodare Nick Pietrangeli, cui a quasi 91 anni va riconosciuta una primogenitura inscalfibile (ma anche anacronistica) in un’era geologica in cui il tennis era molto diverso da quello moderno, Jannik è il prodotto più completo e all around che la scuola italiana (prima quella di confine in Alto Adige e poi, lo ribadiamo, l’accademia di Piatti a Bordighera) abbia mai prodotto, è un giocatore in grado di vincere su ogni superficie (con una netta preferenza per il veloce indoor, il terreno su cui sono arrivati 6 dei suoi 13 titoli: altri 6 sul veloce all’aperto, uno solo sulla terra di Umago), di capire l’erba (dote rara per un connazionale) e di imprimere una svolta alla velocità e alla potenza del tennis moderno, costruito com’è sulla combinazione (servizio-dritto) che è l’architrave del gioco in evoluzione. Nessuno, oggi, colpisce la palla più forte di Sinner. corriere.it