Miti e culti in Ciociaria, la capitale religiosa Anagnia reperti a Veroli e ad Alatri

di Deborah Panichi 

Sarebbe bello poter chiudere un istante gli occhi e riaprirli trovandosi in un altro tempo ed in un’altra realtà, di fronte a qualcosa che non ci saremmo mai aspettati. Proviamo ad immaginare la sensazione del vento che sfiora le colline, il sole che illumina le mura ciclopiche dominanti i paesaggi del Frusinate e il suono cantilenante delle voci dei sacerdoti in vesti candide, invocanti divinità antiche e ancestrali o a noi più vicine e note, come la dea Artemide, divinità delle foreste a Roma nota come Diana, o Demetra, signora delle messi, il cui eco si confonde e si mescola a quello della natura, al fruscio del vento e al suono di un fiume che scorre in lontananza. Queste terre, che oggi attraversiamo noncuranti, sono state testimoni di culti, di rituali, di sacrifici, ma non possiamo ascoltare la loro voce silenziosa, quindi non ci resta che immaginare e tentare di intuirla. Per far ciò ci si può avvalere della conoscenza, così da poter interpretare e ricostruire il passato nel modo più fedele possibile. Proprio per questo possiamo introdurre il lavoro dell’archeologo, una sorta di “ricostruttore del passato” che lavora attraverso la riscoperta di reperti e la loro interpretazione. Detto così sembrerebbe quasi una semplice ricerca di oggetti antichi; in molti pensano a un lavoro avventuroso, alla Indiana Jones, ma in realtà, per quanto affascinante possa essere, esso si avvale della scienza. Non si inizia a scavare tanto per farlo, ma, poiché lo scavo è un momento, per definizione, distruttivo di un contesto, prima di scavare si pondera bene dove farlo, attraverso ricerche che oggi si avvalgono anche di tecnologie avanzate e digitali. Prima di affondare gli strumenti del mestiere nel terreno si studiano mappe, si analizzano le immagini (anche satellitari), si fanno rilievi e poi si inizia a scavare, quando si ha certezza del punto preciso che potrebbe restituire reperti e antiche vestigia.
Dopo questa breve digressione, torniamo all’area di Frosinone e a tutte le bellezze che cela. La sua è una storia fatta di indomiti guerrieri, gli Ernici, fieri combattenti latini, la cui città simbolo, oggi diremmo capitale religiosa, era Anagnia, luogo in cui è stata ritrovata un’area sacra che sembrerebbe testimoniare le attività religiose. Il santuario di Anagni doveva risalire al VI secolo a.C., ed era un punto nevralgico delle attività religiose e, inoltre, i materiali rinvenuti nella zona mostrano i contatti sia con l’area etrusca che con le altre aree latine. A volte risulta difficile pensare a queste città e popoli antichi come intrattenenti rapporti, più o meno litigiosi, con altre popolazioni, non avevano macchine, treni o aerei eppure le terre e i mari erano cuori pulsanti che garantivano scambi di culture, maestranze e tecnologie. Quel che è possibile ricostruire dai resti materiali, oltre a questi scambi, è anche il cambiamento di rituali connessi ad alcuni luoghi. Un esempio è l’area sacra di Santa Cecilia, in zona extraurbana, forse connessa con la divinità delle messi, Demetra. La storia di Demetra è probabilmente tra le più note, belle e affascinanti della mitologia antica. Sorella di Zeus, era la dea protettrice dell’agricoltura. Ade, il dio degli Inferi, si innamorò di sua figlia Persefone e decise di rapirla, portandola nel regno sotterraneo dei morti per farla sua sposa. Demetra, disperata, iniziò a vagare per il mondo alla ricerca della figlia, finché non scoprì la verità. Il suo dolore fu tale che la terra smise di produrre frutti, provocando gravi carestie tra gli uomini. Zeus, preoccupato per la situazione, intervenne per placare la dea ma, poiché Persefone aveva mangiato alcuni chicchi di melograno nel regno dei morti, non poteva più lasciarlo definitivamente. Per risolvere il problema, si stabilì un compromesso: Persefone avrebbe trascorso sei mesi con sua madre e sei mesi con Ade. Da questo mito deriverebbe l’alternanza delle stagioni: quando Persefone è con Demetra, la terra germoglia e fiorisce, simbolo della felicità della dea (primavera ed estate); al contrario, quando Persefone torna negli Inferi da Ade, suo sposo, la natura si addormenta nel dolore della madre (autunno e inverno).
Tracce di sacre vestigia emergono anche a Veroli, dove sono state trovate delle terracotte, probabilmente riferibili ad architetture e databili all’epoca tardo-arcaica. Purtroppo, non si sa nulla della loro provenienza, poiché erano parte della Biblioteca Giovardiana, la più antica biblioteca pubblica del Lazio Meridionale, istituita nel 1773 dal nativo di Veroli Monsignor Vittorio Giovardi, la cui sede oggi è in Largo C. Baronio a Veroli. La biblioteca custodisce al suo interno testi antichissimi e reperti, anche di provenienza incerta, come una testa di Serapide, divinità della guarigione; solo qualche decennio fa dalla Biblioteca venne trafugata, purtroppo, una testa fittile con elmo raffigurante un guerriero. Dall’oblio sono riemersi materiali fittili e votivi anche nella zona intramuraria di Alatri, mentre si è identificato un santuario suburbano nella zona di La Stazza, un piccolo ambiente templare monocella. Da evidenziare anche il ritrovamento di decorazioni architettoniche e lastre decorate con la Potnia Theron, la signora degli animali, culto tipico delle zone del Vicino Oriente e dell’Egeo.
Ogni reperto, ogni parte di architettura, seppur frammentaria, ogni pietra è testimonianza di un passato che continua a vivere nel presente e che vuole parlare a chiunque voglia ascoltarlo.