Abbazia imperiale di Farfa, nel cuore della Sabina i monaci aprono allo Sri Lanka

di Giuseppe D’Onorio*

Nel cuore della sabina, circondata da un paesaggio verde caratterizzato principalmente da ulivi e da un sovrumano silenzio, si trova la storica abbazia di Farfa, uno dei monumenti più insigni del Medio Evo europeo. Anche il più distratto dei visitatori che giunge in abbazia, può leggere la sua storia più che millenaria, attraverso l’osservazione della sovrapposizione e della commistione di stili architettonici diversi che la caratterizzano: elementi di scuola carolingia, di tardoromanico, di gotico longobardo, di rinascimento. Le sue origini rimandano al VI secolo d. C. quando San Lorenzo, giunto dalla Siria con circa trecento seguaci che sfuggivano dalla persecuzione ariana, edificò una chiesa dedicata alla Vergine con annesso monastero. L’invasione dei Longobardi comportò la totale distruzione di ciò era stato precedentemente edificato; alla fine del sec. VIII, però, il cenobio benedettino risorse grazie all’opera di Tommaso di Moriana, originario della Savoia, dopo la visione della Madonna, che gli indicò il luogo dove erano le rovine della chiesa a lei dedicata. Nell’impresa venne sostenuto da Faroaldo II, duca di Spoleto. Tommaso morì nel 720 dopo aver retto l’abbazia per quarant’anni. Con lui Farfa raggiunse un grande splendore e i monaci nel loro impegno di lavoro, unito inscindibilmente alla preghiera, bonificarono i terreni circostanti e iniziarono la coltivazione dell’ulivo. Nel IX sec. il ruolo di Farfa si rafforzò straordinariamente grazie ai privilegi che ottenne dai Franchi. Carlo Magno pose il monastero sotto la sua protezione e concesse il titolo di “abbazia imperiale”, consentendo così all’abate e ai monaci di essere esenti da qualsiasi altra giurisdizione. Il potere feudale dell’abbazia e del suo abate si estese su gran parte dell’Italia centrale da diventare un piccolo Stato che controllava sei città fortificate, 130 castelli, 300 villaggi e oltre 600 chiese e conventi. Lo stesso sovrano soggiornò nell’abbazia di Farfa durante il viaggio verso Roma per essere incoronato, nel giorno di Natale dell’800, imperatore dei Romani da papa Leone III. La tradizione ci tramanda che nella circostanza Carlo Magno donò alla comunità benedettina il tesoro abbaziale costituito da: «un cofanetto pieno di oro purissimo decorato con gemme preziose, una croce d’oro con pietre incastonate, una croce contenente la reliquia della sacra Croce e numerosi calici d’argento». A seguito della decadenza dell’impero carolingio l’abbazia della Sabina visse un periodo nefasto caratterizzato dall’invasione dei Saraceni (fine IX secolo) che la presero e la incendiarono dopo che i monaci con le loro milizie resistettero per ben sette anni. Agli inizi dell’anno Mille con l’abate Ugo riprese vigore Ia vita monastica. Vennero introdotte le consuetudini cluniacensi, che riportarono la disciplina monastica e consentirono un aumento di vocazioni. È questo il periodo nel quale nacque lo Scriptorium farfense che produsse i codici dalla caratteristica lettera maiuscola, ispirata dalla minuscola carolina. E così Farfa con il suo borgo che nasceva intorno al nucleo monastico, con le sue scuole, gli ospizi per i poveri e la farmacia che distribuiva gratuitamente i farmaci, divenne un punto di riferimento spirituale e culturale di tutto rilievo. Nel XV secolo, quando in abbazia subentrò “La Commenda”, ponendola sotto la tutela giuridica di una figura esterna, iniziarono a subentrare politiche che ebbero come conseguenza il depauperamento dei beni patrimoniali, come avvenne in tutti i monasteri. Il cardinal Francesco Carbone Tomacelli, nipote di Papa Bonifacio IX, fu il primo abate commendatario e volle introdurre di nuovo in abbazia un gruppo di monaci benedettini provenienti da Subiaco. A questi seguirono altri abati commendatari provenienti dalle nobili famiglie degli Orsini e dei Barberini. Si andò avanti fino al 1798 quando Farfa fu saccheggita per opera dei rivoluzionari francesi che non risparmiarono di portare con loro neppure gli oggetti più sacri quali: «le Reliquie, l’antica icona bizantina della Vergine, le vesti sacerdotali e perfino le campane»1. Dopo il 161, quando venne proclamato il Regno d’Italia, la comunità monastica subì l’incameramento dei beni da parte del nuovo Stato. L’attuale aspetto della Chiesa, dedicata alla Madonna, risale al 1492 e si deve alla famiglia del cardinal Orsini. La facciata è semplice ma elegante allo stesso tempo, mentre l’interno della Basilica, a tre navate, risulta particolarmente ricco: due file di colonne granitiche, decorazioni in marmo, affreschi raffinati della scuola degli Zuccari e del Gentileschi abbelliscono il presbiterio e le pareti, un maestoso “Giudizio Universale” sulla facciata interna opera del fiammingo Henrik van der Broek e un magnifico soffitto a cassettoni costituiscono un colpo d’occhio di grande efficacia. Accanto alla basilica sorge il complesso monastico dei monaci con all’interno il piccolo chiostro longobardo e quello grande sul quale si innalza il campanile carolingio, costituito da quattro ordini di trifore per lato. Di notevole interesse è la biblioteca, con un patrimonio di circa cinquantamila volumi tra i quali si trovano i preziosi primi libri a stampa, o meglio gli incunaboli. In questo luogo sono gelosamente conservati i preziosi manoscritti medievali, alcuni dei quali prodotti proprio nello scriptorium farfense. Per la sua bellezza architettonica ed artistica l’abbazia di Farfa, nel 1928, fu dichiarata monumento nazionale. La comunità benedettina, guidata dal priore don Eugenio Gargiulo, ancora oggi continua ad essere un centro di spiritualità e di cultura aprendosi anche ad un mondo lontano dal nostro quale lo Sri Lanka. Nel 2010, la comunità di Farfa con spirito missionario, il vero monachesimo possiede questa peculiarità, ha gettato le basi per far crescere il dialogo interreligioso tra buddismo e cristianesimo e far germogliare, nella perla dell’Oceano Indiano, il seme della Regola di San Benedetto.

*Già sindaco di Veroli

Foto copertina: Claudio Mortini