«Abbiamo abolito la povertà», reddito di cittadinanza licenziato il capo dei navigator
Domenico Parisi non è un personaggio di fantasia: è realmente esistito, anzi esiste, risponde al telefono.
Figura emblematica, tragica, di efferata simpatia. Amico caro di Luigi Di Maio.
«Con Giggino ci sentiamo sempre… e però no, non mi ha detto niente: che succede?» (seguirà strepitosa seconda telefonata).
La notizia è questa: Mario Draghi e il ministro del Lavoro Andrea Orlando (Pd) stanno per farlo fuori, lo sollevano dall’incarico di presidente e si apprestano a commissariare l’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (avrebbe avuto il compito di realizzare la parte finale del visionario progetto pentastellato: trovare un’occupazione a chi percepisce il reddito di cittadinanza utilizzando i mitologici tremila navigator — tipi assunti con il bacio della fortuna a 1.600 euro netti al mese, più i 600 di bonus previsti dalla crisi Covid).
Palazzo Chigi, 27 settembre 2018, notte.
Sotto, nella piazza, i parlamentari grillini in sit-in: eccitazione diffusa, grida di evviva e bandiere, Vito «Orsacchiotto» Crimi addirittura con il figlio in carrozzina. Sopra, affacciati al balcone, a quel balcone, i ministri 5 Stelle in festa scomposta: Danilo Toninelli con le dita della mano a V come Winston Churchill, e accanto Barbara Lezzi che saltella scatenata (sì, anche lei è stata ministro), e l’allora Guardasigilli Alfonso Bonafede, già noto come dj Fofò, che incita a fare pure più baldoria, e poi al centro, per una volta meno perfettino del solito, addirittura scravattato, Luigi Di Maio, che urla la celebre sconcertante frase: «Abbiamo abolito la povertà!».
Rientrando in Consiglio dei ministri, Toninelli — tornato in sé — chiede a Di Maio: «Scusa, mi sfugge un dettaglio: ma poi chi troverà un posto di lavoro ai milioni di italiani che percepiranno il reddito di cittadinanza appena annunciato?».
Di Maio aveva già la soluzione: ecco allora entrare in scena un suo amico che, per una volta, non sarebbe arrivato con il solito charter proveniente da Pomigliano d’Arco, ma avrebbe viaggiato in business class (a spese nostre) dalla Mississipi State University. Eccolo Domenico Parisi detto «Mimmo» o anche «CowBoy», di anni 55 anni, guru italoamericano del reinserimento nel mondo del lavoro.
Consueto giro di interviste piene di promesse, titoli, passaggi nei tigì. Ma dopo tre mesi — tre mesi, eh — il presidente Parisi si accorge che le sue creature mitologiche, i cosiddetti navigator, sono ferme ai Bastioni di Orione, perché la app che dovrebbero usare non c’è, non esiste, sebbene valga 25 milioni di soldi pubblici. In un Paese appena normale, la storia si sarebbe conclusa qui. Dimissioni in serie, e una Procura che magari avrebbe potuto decidere di capirci qualcosa. Invece Parisi, tutto tranquillo, aggiunge: «Tra l’altro a me risulta che sui sistemi informativi di milioni ne sono stati impegnati 80, e mi chiedo: che fine hanno fatto?».
Una domanda simile, pochi giorni dopo, la pongono però pure a lui: tre lettere (due firmate da altrettanti dirigenti dell’Anpal e un’altra dalla commissione Lavoro della Conferenza delle Regioni) lo accusano di «mancata rendicontazione delle spese personali» — oltre 160 mila euro.
Reggetevi.
Qui la storia diventa notevole.
Mimmo il Cow-Boy non avrebbe giustificato un conto così: 71 mila euro per viaggi Roma-Mississipi in business class; 55 mila per noleggio auto con autista; 32 mila per l’affitto di un appartamento ai Parioli; 5 mila per spostamenti in Italia; 3 mila per pasti.
È il 13 giugno scorso: Parisi inciampa in qualche congiuntivo nel suo italiano incerto, ma ha una meravigliosa faccia tosta. «Certo che vado avanti e indietro con il Mississipi. Mia moglie vive lì, Di Maio lo sapeva, mica posso separarmi». «In un’audizione, alla Camera, ho detto che volo in business per colpa del mal di schiena. Sono stato sciocco, volevo giustificarmi. Invece è un mio diritto». «Dissi a Di Maio: Giggino, amico mio, lascio una cattedra universitaria prestigiosa, non posso rimetterci. Me li dai 240 mila euro? Lui rispose: tranquillo, Mimmo, non c’è problema. Alla fine sono purtroppo rimasto fermo a 160, ma mi accontento».
Un personaggione.
Anche in queste ore.
Allora: prima non sapeva niente, Di Maio non gli aveva detto ancora niente, «Sorry, ora m’informo». Poi, due ore dopo, sempre al telefono, sentite che roba.
«Ho saputo, ci ho pensato: fanno bene».
A far cosa?
«A commissariare l’Anpal».
Ma come? È l’agenzia che dirige…
«Sì, però ho capito che il ministro Orlando vuol fare tutto come si deve. Lo capisco, sono d’accordo con lui».
Ammette di aver fallito?
«Io proprio no. È l’Anpal che non funziona».
E lei, adesso? Tornerà in Mississipi?
«Io aspetto».
Ha riparlato con Di Maio?
«Giggino è sensibile, lui sa come stanno le cose» (e però, Santo Cielo, questi guru italoamericani come sono allusivi, no?). corriere.it