Allarme italiano lingua morta, alle scuole medie più libri e meno cartelloni
Negli Ottanta, quando l’Italia era la quinta potenza industriale del mondo e vinceva i mondiali di calcio, il maggiore veicolo di diffusione della lingua italiana era rappresentato dalle canzoni nazional-popolari del nostro Paese: basti pensare alla popolarità che ancora oggi riscuotono, a distanza di anni, cantanti come Albano e i Ricchi e Poveri, in Russia e nei Paesi ex comunisti. Per non parlare del tormentone-simbolo di un’epoca e generazione: «L’italiano» di Toto Cutugno. Da allora il mondo è cambiato e, oggi, alla Farnesina, si svolgono gli Stati Generali della Lingua e Creatività Italiane nel Mondo. Quest’anno si parla de «L’Italiano di domani», dove si intende offrire una visione rinnovata e contemporanea della promozione del Sistema Italia al fine di definire concrete linee d’azione per la valorizzazione della lingua italiana e per il suo utilizzo.
Ma se dovessimo parlare de «L’Italiano di oggi», soprattutto in relazione all’ «idioma gentile» di cui parlava de Amicis per la nostra patria, cosa potremmo dire? Prima di riproporre la «neo-questione della lingua italian», come emergenza prima didattica, poi democratica, che affrontano i giovani di oggi, ma cittadini di domani, apriamo una piccola parentesi a mo’ di divertissement. Come tutti ricordiamo, i pareri del CTS, ovvero del Comitato Tecnico Scientifico, hanno influenzato in maniera incisiva la gestione dell’emergenza pandemica del Coronavirus-19. Se la lingua – nel nostro caso italiana – è specchio del mondo, rappresenta una visione del mondo, descrive la realtà e prescrive quanto è bene fare, una piccola incursione nei verbali ufficiali del CTS è assai istruttiva: se la principale novità del rientro in classe riguarda il famigerato metro di distanziamento fra le «rime buccali» che ilaremente tenne banco tutto l’anno scorso, occorre constatare un inutile anglismo (to pay attention), quando per l’a.s. 2021/2022 si viene «raccomandando, laddove possibile, di mantenere il distanziamento fisico», ma «pagando attenzione a evitare di penalizzare la didattica in presenza». Queste «facezie» possono essere una spia luminosa della stato di salute della lingua italiana nel nostro Paese?
Ma un’altra vera emergenza, da pochi messa adeguatamente in risalto, è la carenza delle competenze della lingua italiana di gran parte degli studenti, anche, non a caso, questa acuita dalla DAD. Secondo il report dell’INVALSI nel 2021, se i risultati relativi al primo ciclo di istruzione (grado 5) sono stabili, è nella Scuola secondaria di primo grado che si è rilevato un peggioramento medio di 4 punti, rispetto al 2018 (grado 8, terza media). Se poi si volge l’attenzione alla secondaria di secondo grado, il peggioramento si è attestato sui 10 punti (grado 13, ultimo anno): la media relativa alle competenze in italiano si aggira ora su 190 punti, rispetto ai 200 del 2019. Insomma, in termini percentuali coloro che non hanno conseguito il livello minimo sono il 44% (rispetto al 35% del 2019). Tale «decadimento» dell’apprendimento, dal punto di vista geografico, risulta generalizzato in tutte le macroaree dello Stivale ma è più evidente in Campania e in Puglia.
Oltre a «denunciare» questo sfacelo, cosa potremmo fare noi docenti? Prima di tutto, occorre che lo Stato si faccia una sorta di «ravvedimento operoso», per usare un‘espressione fiscale: se la Riforma Gelmini decurtò, tra le altre discipline, il monte ore curricolare di italiano (da cinque passarono a quattro alla settimana in tutte le superiori), per far cassa e risparmiare, è necessario ripristinare la quinta ora.
Nella scuola media, inoltre, bisogna fare meno cartelloni e più percorsi di lettura guidata, valorizzando le competenze del buon lettore e attivando strategie che faccia leva sulla motivazione. Certo, le nostre maestre ripetevano che per imparare a scrivere basta leggere tanto: questo è vero, se si legge veramente tanto, anzi tantissimo! ma è logico avere tempo a disposizione e non essere a continuo contatto con «armi di distrazione di massa» come il cellulare! Come si dice in gergo, l’esposizione all’input è una condizione necessaria ma non sufficiente, in particolare per i ragazzi di oggi.
Ai nostri giorni, invece, letture mirate e motivanti possono essere occasione di riflessione per tematiche di attualità: per esempio,organizzare discussioni in classe, anche usando la tecnica del «debate», tecnica comunicativa importata dagli USA; oppure si allestisce l’incontro con l’autore del romanzo letto in classe, per creare consapevolezza della creatività che si fa corpo leggero, cioè si fa parola. Ma l’elenco potrebbe allungarsi; l’importante è leggere m anche trovare buone pratiche per una didattica della scrittura esplicita e dinamica, e la parola d’ordine è sempre quella: motivare!
La questione sostanziale però può essere un’altra e di più ampia ed epocale portata. Scriveva infatti Gorgia da Lentini nel V a.C.: «La parola è un grande e potente signore che con un corpo piccolissimo, e che non dà per nulla nell’occhio, produce le opere più divine: può, infatti, porre fine al terrore, eliminare il dolore, infondere il godimento e aumentare la pietà». Dopo quasi tremila anni di parole «scritte» in qualche modo, l’essere umano è ancora capace di provare l’ «entusiasmante incantamento» (entheos epoide) della parola attraverso il codice scritto? Trovare ogni giorno, in aula, una risposta concreta per le nuove generazioni fa parte della missione e del lavoro del docente di lettere nella scuola del terzo millennio per «l’italiano di domani». corriere.it
Marco Ricucci, professore di Italiano e Latino presso il Liceo Scientifico Leonardo da Vinci di Milano e docente a contratto presso l’Università degli Studi di Milano