Bob Kennedy, 50 anni fa l’assassinio a Los Angeles
“Amore, saggezza, solidarietà per coloro che soffrono, giustizia per tutti, bianchi e neri”: cosi’ Robert Francis Kennedy ricordava Martin Luther King dopo la sua uccisione, lui che da molti ne era in qualche modo considerato un erede. Era il 4 aprile del 1968: due mesi dopo, il 6 giugno, fresco di vittoria alle primarie della California e del South Dakota e con la strada praticamente spianata verso la Casa Bianca, il fratello minore del presidente JFK, subiva lo stesso tragico destino del reverendo icona dei diritti civili.
Una vita interrotta a 42 anni quella di Bob, quando dalla sala da ballo dell’Ambassador Hotel di Los Angeles, dopo il saluto ai suoi sostenitori, verso mezzanotte venne fatto allontanare passando per le cucine: fu in quel momento che diversi colpi di pistola vennero sparati contro di lui sotto gli occhi dei reporter e dei teleoperatori che lo seguivano. Uno dei proiettili gli perforò la tempia destra e si capì subito, nel panico generale, che la situazione era disperata. RFK, così come veniva chiamato, morì ore dopo in ospedale.
Solo tre mesi prima, il 18 Marzo 1968, Bobby pronunciava presso l’università del Kansas, un discorso nel quale evidenziava l’inadeguatezza del PIL come indicatore del benessere delle nazioni economicamente sviluppate.
«Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni – affermava Kennedy – Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto nazionale lordo. Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani».