Bolletta elettrica da quasi 1 milione di euro, nel Lazio 20mila imprese rischiano di chiudere
In base alle stime di Confartigianato, i settori più colpiti sono il manifatturiero, i trasporti, l’edilizia, i servizi alla persona e la ristorazione artigiana (pasticcerie, gelaterie, cioccolaterie, paninoteche): «Se consideriamo l’artigianato alimentare, tranne i bar e i ristoranti, e le botteghe su strada (abbigliamento, sartoria, marmisti, fabbri, ceramisti, ndr) – sottolinea Andrea Rotondo, presidente di Confartigianato Roma – nella Capitale superiamo le mille imprese a rischio chiusura, 2.3oo nel Lazio, con una ricaduta occupazionale di oltre quattromila addetti. L’energia è passata dal 10 al 40 per cento di impatto sui costi di produzione: l’anno scorso un’azienda alimentare con 15 addetti pagava una bolletta di circa tremila euro, oggi supera i 13.500». Tra i provvedimenti auspicati, il taglio del cuneo fiscale: «Sarebbe stato l’ideale per alleggerire l’F24 mensile». Sebbene nello scenario attuale tutte le previsioni siano congetturali – molto dipende da come evolverà il quadro geopolitico e dalle misure che adotterà il governo da solo o nell’ambito di una strategia coordinata in ambito europeo – anche Romolo Guasco, direttore della Confcommercio di Roma, si dice preoccupato: «In Italia sono a rischio 120mila imprese… L’economia del Lazio corrisponde all’8 per cento, pertanto nella nostra Regione diecimila attività potrebbero non sopportare l’aggravio dei costi energetici. Chi si trova in una situazione di solidità economica riuscirà a fronteggiare lo tsunami, ma gli altri saranno in affanno». Al rialzo dei prezzi si somma la riduzione dei consumi del 4 per cento negli ultimi due anni: «Aumenta la spesa e diminuisce il volume d’affari, ma si sta cercando comunque di non caricare le perdite sulle famiglie per non intaccare la fidelizzazione». Tra le proposte di Confcommercio, l’aumento del credito d’imposta per le aziende con potenza pari o superiore a 16,5 kilowattora dal 15 al 50 per cento, «considerato che in Italia la spesa energetica per il terziario è salita dai 14,9 miliardi dello scorso anno a 33 miliardi». Valter Giammaria, presidente di Confesercenti Roma, teme che le chiusure supereranno quelle registrate durante la pandemia: «Arrivano bollette di 15 mila euro al mese e molti stanno pensando di mollare. Nessuno può pensare di pagare somme così esorbitanti, in questo modo si mettono a rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro». Da Unindustria confermano pesanti ripercussioni sui settori più energivori (telecomunicazioni, chimico-farmaceutico, gomme e plastiche, estrattivo, carta, ceramica, metalmeccanico, digitale, alberghiero, agroalimentare): ha già chiuso i battenti la Saxa Gres di Anagni, in provincia di Frosinone, specializzata nella produzione di piastrelle in gres porcellanato, tra cui i sampietrini. A lanciare l’allarme è stata anche la Coldiretti Lazio, secondo cui più di un’azienda agricola su 10, il 13 per cento, «è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività» per effetto dei rincari che incidono su una serie di voci: dal gas ai barattoli, dal gasolio alle etichette. «Rischiamo un crac alimentare, economico e occupazionale – avverte il presidente regionale, David Granieri – . L’esplosione dei costi dell’energia potrebbe compromettere quegli spazi di autonomia e sovranità alimentare che fino ad oggi le imprese agricole italiane sono riuscite a difendere. Nel Lazio la filiera agroalimentare rappresenta il 3 per cento della ricchezza con 6,3 miliardi di fatturato annui». corriere.it