È morto Colin Powell
Colin Powell, ex segretario di Stato americano nell’amministrazione di George W. Bush, è morto per complicazioni dovute al Covid. Powell aveva 84 anni ed era stato vaccinato con doppia dose, ha affermato la famiglia in un comunicato diffuso su Facebook. «Il generale Colin Powell ci ha lasciati questa mattina per complicazioni dovute al Covid. Abbiamo perso uno straordinario e amorevole marito, padre, nonno e grande americano», hanno scritto ringraziando per le cure il personale del Walter Reed National Medical Center di Bethesda, in Maryland, il più grande centro medico militare degli Stati Uniti dove si curano i presidenti americani.
Per oltre quarant’anni, Powell è stato un perno della democrazia americana, influenzando la politica estera del Paese: oltre a diventare il primo segretario di Stato afroamericano aveva combattuto in Vietnam e lavorato come diplomatico, consigliere per la sicurezza nazionale e presidente del Joint Chiefs of Staff, l’organo che riunisce i vertici delle forze armate americane. Negli anni Novanta è stato considerato un possibile candidato alla Casa Bianca — sarebbe stato il primo presidente nero — ma la sua carriera è stata macchiata dal discorso tenuto alle Nazioni Unite nel 2003, che spianò la strada all’invasione americana dell’Iraq.
Inizialmente contrario a un conflitto armato contro le truppe di Saddam Hussein, il 5 febbraio — cambiando posizione con quel celebre intervento al Consiglio di Sicurezza dell’Onu — denunciò l’Iraq come produttore di antrace e di armi biologiche, presentando «le prove» dell’attività pericolosa di Saddam. «Non posso dirvi tutto ciò che sappiamo», affermò. «Ma posso dirvi che l’insieme delle cose venute alla luce nel corso degli anni è molto preoccupante. I fatti e i comportamenti dimostrano come Saddam Hussein e il suo regime nascondano i loro tentativi di produrre più armi di distruzione di massa». Le sue affermazioni risultarono in seguito completamente false.
Anni dopo Powell, che si dimise da segretario di Stato nel 2004, dopo la rielezione di Bush, riconobbe che quel discorso sarebbe rimasto per sempre una macchia nella sua carriera. «Avrebbe consigliato l’invasione dell’Iraq se avesse saputo che Saddam non possedeva quelle armi?», chiese nel 2004 il Washington Post all’allora capo della diplomazia statunitense, che fu costretto a rispondere: «Non lo so, la presenza degli arsenali costituì l’ultimo tassello che lo rese un pericolo reale e immediato per la regione e per il mondo. L’assenza degli arsenali cambia il calcolo politico, cambia la risposta che si dà».
Nel 2008, ormai allontanatosi dal partito repubblicano, appoggiò la candidatura di Barack Obama alla Casa Bianca, poi fu uno dei pochi conservatori ad opporsi all’ascesa di Trump, criticando i leader del partito che si erano schierati con l’allora tycoon newyorkese: nel 2016 sostenne Hillary Clinton e nel 2020 votò per Joe Biden. «Non posso più definirmi un repubblicano», disse a Fareed Zakaria su Cnn dopo l’assalto al Congresso del 6 gennaio scorso. «Sono solo un cittadino che ha votato repubblicano e democratico. Ora guardo al Paese e non penso ai partiti».
Nato a Harlem, New York, il 5 aprile del 1937, figlio di immigrati giamaicani, Colin Powell era cresciuto nel Bronx e dopo la laurea al locale City College si era arruolato nell’esercito nel 1958. Dopo essere stato inviato per due volte in Vietnam negli anni Sessanta, venendo ferito in entrambe le occasioni e sopravvivendo a un incidente in elicottero, era tornato negli Stati Uniti per frequentare il National War College, dopo il quale aveva cominciato a far carriera nell’esercito. Nel 1987 Ronald Regan lo aveva nominato consigliere per la sicurezza nazionale, mentre due anni dopo George H.W. Bush lo aveva scelto come capo del Joint Chiefs of Staff, chiamato a supervisionare le operazioni a Panama del 1989, la Guerra del Golfo del 1991 e la crisi umanitaria in Somalia.
Nel corso della sua carriera militare ha ricevuto la Congressional Gold Medal e la Presidential Medal of Freedom, le due più alte onoreficenze americane, entrambe nel 1991 dopo la liberazione del Kuwait, nonché due Bronze Star e due Purple Heart. Alle elezioni del 1996 era considerato uno dei favoriti nella corta alla presidenza, ma decise di non candidarsi denunciando una «scarsa passione» per la politica. «Questa vita necessità di una chiamata che non ho sentito», disse ai giornalisti nel 1995. «Fingere altrimenti non sarebbe onesto per me e per il popolo americano». Il suo nome spuntò anche nel 2000, ma preferì offrire il suo sostegno a George W. Bush, di cui sarebbe diventato segretario di Stato. corriere.it