Educatrice fa sesso con un 13enne, condannata a 5 anni di carcere
Quando parlava di lui lo descriveva come «il figlio che non aveva mai avuto». Ma per i giudici d’appello del Tribunale di Torino la donna era legata all’adolescente da un affetto diverso da quello materno. Il processo riguarda un’educatrice di 38 anni (difesa dagli avvocati Pasqualino Ciricosta e Gianni Iacono), che lavorava in una comunità per minori della provincia. La donna, che si è sempre professata innocente, è accusata di aver avuto una relazione intima e sessuale con uno dei ragazzini di cui avrebbe dovuto prendersi cura: per questo motivo, oggi 10 marzo, è stata condannata a cinque anni di reclusione. In primo grado le era stata inflitta una pena a 8 anni con sospensione condizionale della pena.
Lo scandalo emerge nel febbraio del 2018 quando l’adolescente, vittima di gravi maltrattamenti da parte dei genitori, cambia per la terza volta comunità e si confida con un educatore. L’assistente non può fare altro che denunciare l’episodio e comincia l’inchiesta della sezione di polizia giudiziaria specializzata nella tutela dei minori. Gli investigatori acquisiscono il telefonino della donna: le chat e lo scambio di messaggi privati su Instagram si rivelano compromettenti. Vengono estrapolate conversazioni e immagini che vanno al di là del normale rapporto tra educatrice e assistito. Nel corso dell’appello i difensori hanno provato a ricostruire la vicenda, sottolineando come i messaggi e le chat non siano stati adeguatamente contestualizzati durante le indagini.
Quando la vicenda viene alla luce, il ragazzo spiega agli inquirenti che tutto è cominciato nel 2015 (quando aveva tredici anni). All’epoca l’adolescente stava uscendo da una situazione familiare complicata e il suo atteggiamento era aggressivo, spesso volgare nelle sue esternazioni verso le donne. L’educatrice giorno dopo giorno si conquista la sua fiducia e riesce a entrare in sintonia con lui. Poi, però, secondo l’accusa le si invaghisce del ragazzino e ottiene i permessi per farlo uscire dalla comunità e portarlo a casa propria. «È timido, si imbarazza davanti a uomini più grandi», la scusa con cui la donna allontanava dall’abitazione il compagno per restare da sola con il ragazzino. Per trascorrere più tempo con lui, a un certo punto era anche riuscita a ottenerne l’affido. corriere.it