Favino e Cortellesi in testa alla classifica, cinema italiano alla ribalta
Per la prima volta da tanto tempo, due film italiani, quelli di Paola Cortellesi e di Edoardo De Angelis, sono risultati al primo e secondo posto del box office. Poco più in giù, nella classifica degli incassi, compaiono un film per teenager e al decimo posto l’opera prima di Claudio Bisio. Io, capitano di Matteo Garrone ha incassato quasi quattro milioni di euro. L’opera di Paola Cortellesi, in particolare, ha incassato tre milioni e mezzo in una settimana e più di uno in un solo giorno. Un dato eccezionale, davvero eccezionale. È il film di una regista esordiente che ha inventato una storia capace di restare nella coscienza e nell’immaginario collettivo. Non userò l’argomento del «ritorno» del cinema italiano, troppe volte annunciato e smentito dai fatti. Il cinema italiano non deve tornare, perché c’è. In questa stagione le opere di maestri come Bellocchio, Cavani, Avati hanno avuto buona accoglienza come anche i film di autori più giovani come Micaela Ramazzotti con Felicità, Beppe Fiorello con Stranizza d’amuri, Andrea di Stefano con Ultima notte d’amore e molti altri. Nanni Moretti ha ottenuto grandi consensi, come si diceva una volta, di critica e di pubblico, con Il sol dell’avvenire. Molti film italiani hanno inattesi risultati di ascolto sulle piattaforme. Stanno per uscire il film di Antonio Albanese, una denuncia della solitudine dei cittadini nel meccanismo della finanza, quello con D’Agostino e Giusti, regia di Ciprì, su Roma, la serie di Francesca Archibugi tratta da la Storia della Morante. Il dato nuovo, che merita una riflessione, riguarda la natura di questi film. Non sono tradizionali commedie, con il rispetto che si deve a un genere che personalmente amo, ma film che hanno un forte, esplicito, contenuto civile. Io capitano e Comandante affrontano il tema dell’immigrazione, il film di Bisio quello dell’infanzia sotto la dittatura e le leggi razziali. L’opera prima della Cortellesi, un film di rara intensità, è un’ode all’impegno civile, alla coscienza delle donne. Che strano, no? In un tempo in cui questa dimensione sembra allontanarsi, sostituita dalla frivolezza rapida e semplificata del linguaggio dei social, riemerge un bisogno di relazione con qualcosa di più profondo, più carico di senso, capace di far pensare. E il cinema italiano, se penso allo splendido film di Scorsese direi in generale il «miglior cinema», ci sottrae anche al presentismo assoluto, ci restituisce il gusto di viaggiare indietro, di recuperare memoria e radici. Si può ritornare agli anni del fascismo, lo ha fatto letterariamente Scurati, per capire la sua natura di «autobiografia della nazione», si possono rivisitare gli anni ottanta per scoprire la profondità dei pregiudizi sugli orientamenti sessuali o usare la storia di un comandante di sommergibile per dire che in mare le persone, amiche o nemiche, devono essere salvate. Si può fare il cinema per dire qualcosa, raccontando. Senza la pretesa di essere pedagogici o, peggio, propagandistici. Senza fare cinema ideologico, pericolosissimo. Senza tornare all’idea che esista un cinema di serie a e uno di serie b, perché con i film western Sergio Leone descriveva il mondo e Totò il suo tempo. Semplicemente raccontando, muovendosi su quel confine tra realtà e fantasia, tra passato e presente che Fellini ci ha insegnato ad esplorare senza recinti e senza breviari ideologici nelle mani. Con un’ulteriore bella novità. In questo tempo cupo, carico di paure e privo di sogni, le persone che vanno al cinema cercano emozioni. Forse ora ne desiderano una specie particolare. L’emozione della speranza, dell’esempio positivo, della possibilità contro la rassegnazione. Emozionare, raccontando, non è reato. Il successo di questa stagione del cinema italiano è forse legato alla capacità di essere in sintonia con una domanda di motivazione civile che oggi la politica non riesce a comprendere e intercettare. Il cinema italiano sa, da sempre, raccontare storie affascinanti e la sua forza sta proprio nella pluralità di generi, linguaggi, estetiche che pratica. Le campane a morto per le sale, la produzione e la creatività nazionale per una volta possono tacere. La notizia che centinaia di migliaia di persone vanno al cinema a vedere film italiani di qualità non è solo una buona novella per quell’industria. Forse significa qualcosa di più, per tutti. Significa che C’è ancora domani. corriere.it