Frosinone, di Veroli il primo sindaco del capoluogo amico di Garibaldi e Mazzini
Di Veroli il primo sindaco del capoluogo, l’avv. Domenico Diamanti. Amico di Garibaldi e Mazzini. Il libro “Storia di Frosinone tra ‘800 e ‘900” di Maurizio Federico approfondisce la figura di Diamanti. Nato a Veroli il 10 marzo 1812 da Erasmo e Maddalena Cialli, già dai primi anni di studi universitari di giurisprudenza a Roma si affiliò alla “Giovine Italia” entrando in relazione con i più attivi mazziniani della capitale. Partecipò e appoggiò vari moti rivoluzionari (del 1831, del 1843-44) in seguito ai quali venne arrestato e scontò diversi mesi di carcere. Nel 1848 si stabilì a Frosinone con la moglie Carolina Morelli, dalla quale nel 1839 aveva avuto un figlio, Emilio (sarà questi a ottenere nel 1910, con un cospicuo contributo di 5.000 lire, l’erezione del monumento a Nicola Ricciotti, già invano caldeggiata dal padre, nel quale lo stesso Domenico compare scolpito, proprio alle spalle del carbonaro ciociaro. Il libro di Federico racconta l’elezione di Diamanti all’indomani del voto amministrativo del 13 novembre del 1870.
Dalla pubblicazione si evince la levatura dell’avv. verolano. «La maggioranza dei consiglieri di Frosinone era orientata a chiedere al Commissario regio Rinaldo Albini di segnalare, per la nomina del re a primo sindaco della città dopo l’unità d’Italia, l’avvocato Domenico Diamanti, nativo di Veroli ma cittadino frusinate d’elezione, che era appena rientrato dal suo secondo esilio in Egitto. La divisione del Consiglio comunale in due schieramenti contrapposti, progressisti e moderati, rendeva però difficile quella nomina. Alla fine il Commissario regio, pur essendo politicamente schierato con la parte più moderata del Consiglio, dovette riconoscere che solamente Domenico Diamanti avrebbe potuto avere il gradimento di tutta la Giunta municipale, della gran parte degli eletti e della maggioranza dei frusinati. Occorre l’opera di un Sindaco energico, bene viso alla maggioranza, non legato da idee troppo grette, perché insieme al far bene occorre anche far presto, onde supplire ai radicali difetti che si verificano in questa città. Così sarà tratteggiata, qualche tempo dopo, la figura del Diamanti da parte di Aristide Salvatori sul suo giornale, “Il Lampo”: «È una bella personalità, uno tra i migliori cittadini che vanti il nostro Circondario; uno di quei pochi insomma che affermassero con ventidue anni di esilio e con una lunga serie di fatti operati, il suo culto alla patria, il suo amore all’umanità. Non isfornito di pratiche cognizioni amministrative, onesto fino allo scrupolo, esso è un uomo di cui ogni municipio dovrebbe onorarsi avendolo capo».
A Frosinone il Diamanti cominciò ad esercitare la professione legale. In quello stesso anno (1848) con il Battaglione di volontari “Campano” (o “Frosinonese”), da lui stesso organizzato insieme al frusinate Giampietro Guglielmi, combatté nella prima guerra d’indipendenza come capitano della 4ª Compagnia del Battaglione a Cattolica e alla Montagnola, rimanendo ferito a un ginocchio. Prese anche parte in quell’anno alla sommossa popolare che riconquistò Bologna occupata dagli austriaci del generale Welden. Tornato a Frosinone nel 1849, fu eletto deputato alla Costituente romana in rappresentanza della provincia di Frosinone con 2.806 voti e fissò la sua residenza a Roma. Il Triumvirato gli affidò il Commissariato straordinario con i pieni poteri per la provincia di Campagna e Marittima e il compito di organizzatore di corpi armati per la difesa della Repubblica romana. Combatté a Roma e a Velletri rimanendo più volte ferito. Caduta la Repubblica romana prese la strada dell’esilio e si rifugiò prima a Smirne (Turchia) e poi ad Alessandria d’Egitto, dove rimase dal 1849 al 1867, lontano dalla moglie e dal figlio. Nei luoghi del suo esilio Diamanti, raggiunto più tardi dai familiari, nel frattempo scampati alla distruzione della loro casa per opera di popolani istigati dal clero, svolse lavori umilissimi per poi darsi all’arte medica e alla professione di avvocato. Intanto si adoperava per costituire comitati di emigrazione a Smirne, Atene, Costantinopoli, Siwa e Alessandria d’Egitto, allo scopo di aiutare gli emigrati politici italiani. Durante tutti gli anni del suo esilio Diamanti si tenne sempre in contatto con altri patrioti e soprattutto con Mazzini e Garibaldi dei quali godé dell’amicizia e stima.
In quegli stessi anni Diamanti entrò nella Massoneria tanto che, nel 1866, risultava aver già ricoperto la carica di Maestro Venerabile della Loggia massonica “Nuova Pompeja” di Alessandria d’Egitto. Rientrato in Italia nel 1867, si fermò a Firenze per poi raggiungere Sora dove organizzò, a sue spese, un corpo di volontari impegnando i beni che possedeva in Frosinone per partecipare allo sfortunato tentativo garibaldino di quell’anno per la liberazione di Roma e del Lazio dal potere temporale dei papi. Combatté contro le truppe pontificie a Vallecorsa e sulle montagne di Trisulti per tornare, dopo la sconfitta di Mentana, per la seconda volta in esilio ad Alessandria d’Egitto. Tornato in Italia subito dopo la liberazione di Roma, Diamanti fu accolto a Frosinone con grandi manifestazioni di simpatia da parte della cittadinanza che lo volle sindaco della città diventata finalmente italiana. Candidato alle elezioni politiche del 1870 e del 1874 venne quasi unanimemente votato a Frosinone, ma fu battuto, per pochissimi voti, nel risultato complessivo del collegio elettorale dal verolano Giovanni Campanari. Diamanti, che era rimasto vedovo, con la nuova moglie di Frosinone Apollonia Tagliaferri, dalla quale aveva avuto due figli, tornò, questa volta volontariamente, in Egitto alla fine del 1876. Ad Alessandria d’Egitto riprese la sua attività di avvocato e ricevette anche la cittadinanza onoraria. Qui morì all’età di 69 anni, il 3 marzo del 1881 assistito dalla moglie e dal figlio Emilio. Fu sepolto nel Cimitero Latino di Alessandria dopo solenni funerali che videro la presenza del Viceré d’Egitto, del Corpo diplomatico e di tutta la comunità italiana.
Redazione Digital