Frosinone, il sindaco accoglie una delegazione sudcoreana
Il sindaco di Frosinone, Nicola Ottaviani, ha incontrato una delegazione di 21 rappresentanti provenienti dalla Corea del Sud: gli illustri ospiti erano funzionari del Ministero della Salute, oltre che del settore welfare di diverse suddivisioni amministrative del Paese dell’Asia orientale. Scopo della visita, così come indicato dalla delegazione stessa nella richiesta di collaborazione fatta pervenire al settore dei servizi sociali del Comune di Frosinone, quello di “dare impulso alle politiche di previdenza sociale attraverso studi sulla sicurezza sociale, sull’assistenza sociale e su casi positivi di assistenza pubblica”. Per questo motivo, “Il governo coreano svolge attività di formazione all’estero selezionando funzionari di spicco del governo locale nel dipartimento welfare, per studiare casi riusciti nell’ambito del servizio di supporto ai gruppi sociali esposti a criticità e per conoscere, inoltre, le politiche e i programmi rivolti ai gruppi sociali più vulnerabili, specie a quelli residenti in contesti urbani”. Il dirigente del settore dei servizi sociali, Antonio Loreto, ha rivolto un indirizzo di saluto ai presenti, illustrando il contenuto della carta dei servizi del settore welfare del Comune di Frosinone, “un patto siglato tra amministrazione pubblica e cittadini”, riguardante, cioè, le tematiche riguardanti l’accesso al welfare, le politiche per l’inclusione sociale, per la famiglia e a sostegno dell’integrazione culturale; nella carta sono presenti, inoltre, le modalità di accesso agli interventi a sostegno della non autosufficienza, di contrasto alla dipendenza, per la tutela delle persone anziane e dei minori.
“Siamo onorati di avervi qui – ha affermato il sindaco, Nicola Ottaviani, rivolgendosi agli ospiti – Siamo a vostra disposizione perché possiate valutare l’alto livello raggiunto dal settore comunale del welfare, un risultato raggiunto con estrema professionalità dai nostri uffici ed operatori. Il problema che attualmente il nostro Paese sta affrontando affonda le radici nella istituzione stessa del servizio sociale: nato negli anni Sessanta, sviluppatosi nel decennio successivo, rifletteva una Nazione completamente diversa. In quell’epoca, infatti, la politica era convinta dell’importanza dei servizi sociali, un ruolo che, nel corso degli anni, è stato invece sminuito. In quel periodo, invece, lo Stato centrale, insieme alle regioni, investiva sulla spesa sociale: l’Italia e l’Europa avevano un prodotto interno lordo in grande espansione e i paesi non avevano problemi a creare debiti, soprattutto nell’ottica di investire nel settore, che si sarebbe chiamato del welfare. Dalla seconda parte degli anni Settanta, fino agli anni Novanta, l’Italia ha proseguito nella politica di integrazione, spostando però l’attenzione più sull’economia formale che sulle esigenze delle famiglie, specie di quelle in maggior difficoltà. Negli ultimi anni, sono nati o sono stati potenziati dei nuovi modelli di solidarietà sociale, che hanno richiesto costi importanti. Le Regioni e i governi hanno favorito la nascita di questi servizi, finanziandoli quasi integralmente all’inizio, per poi, negli ultimi anni, abbassare drasticamente la quota economica erogata ai comuni per mantenerli in vita: oggi, infatti, i servizi sono quasi del tutto a carico degli enti municipali. A ciò, si è aggiunta la forte contrazione dell’economia reale. I comuni, per continuare ad assicurare le attività di welfare, sono stati costretti ad abbassarne il livello qualitativo o quantitativo, oppure a cancellarle del tutto. In altri casi, sono state aumentate le quote di finanziamento a carico dell’utente. La tematica urgente oggi da affrontare – ha concluso – riguarda il giusto equilibrio tra tassazione da parte del governo e della Regione, con i contributi economici per mandare avanti la macchina sociale da parte del Comune: sarebbe necessario che Stato centrale e Regioni, dunque, tornassero all’attività di finanziamento di un tempo, valorizzando così il settore welfare a favore delle famiglie, dei giovani, degli anziani, di tutti coloro che rischiano di rimanere indietro. Riteniamo che i livelli della Pubblica istruzione, della sanità pubblica e dei servizi sociali siano l’indicatore più veritiero della qualità della vita e della civiltà di un Paese”.