Galimberti a Veroli, la relazione di Spaziani

La condizione giovanile in epoca contemporanea ha raggiunto l’apogeo del Nichilismo: un’inclinazione puntualizzata da Nietzsche, il cui significato implica l’assenza di uno scopo, la carenza di risposte al Perché e la svalutazione dei valori nella loro totalità.

Al fine di enucleare i fattori che contribuiscono a tale declino progressivo, Umberto Galimberti, intervenuto a Veroli, adduce rilievo alle prime due proposizioni, ottundendo il significato della terza (in quanto, entificando le convenzioni sociali, non vi sarebbe dialettica storica). 

Al di fuori del carattere religioso, il Cristianesimo è organizzato in base al concetto di Speranza, un agire passivo, mediante cui il soggetto non retroagisce con la causa. Dunque, il cristianesimo è la genesi dell’apparato occidentale di cui siamo strumenti.

Pertanto, il tema dominante del discorso è l’inettitudine posseduta dal giovane ai cui occhi il futuro appare imprevedibile. L’educazione alla passività (incentivata dal mondo occidentalizzato della tecnica) annulla qualsivoglia attrazione verso la causa: dunque determina l’assenza di uno scopo. A sostegno di ciò Galimberti accosta il significato di “scopo” al “tempo inaugurato dal cristianesimo”. 

Siccome la civiltà occidentale si erge sul mito del progresso, è agnostica in termini di contenimento, motivo per cui vigono una mole spropositata di regole inerenti lo stesso confine da rispettare. Al suo confronto il popolo greco possedeva una sola regola, data la capacità di riverire i limiti. L’ipostasi del limite è la Hybris, ovvero l’eccesso mediante cui si trasgredisce il confine. Pertanto, il vocabolo “speranza” viene stigmatizzato, e perciò stesso nel lessico greco non compare mai senza l’accompagnamento dell’aggettivo “cieca”.

Inoltre, con l’ausilio della tecnica (mediante cui si migliorano i mezzi per adempiere ad un progressivo miglioramento della condizione esistenziale umana), la logica occidentale elude la consapevolezza della mortalità. Al contrario, i greci ne osservavano le istanze e, di conseguenza, chiamavano l’uomo “protos” = “colui che è destinato a morire” (al tempo di Omero), oppure “mortale”.

Galimberti sostiene che nella coeva temperie, agi occhi dei giovani, il futuro non rappresenta né una promessa né una minaccia; esso è semplicemente imprevedibile, e dunque, un incontrovertibile motivo di angoscia.
I greci utilizzano due vocaboli contraddistinti per indicare lo sguardo mirato (skopeo, da cui scopo) e lo sguardo contemplativo (Orao, da cui panorama). Il sentimento riscontrabile nel momento in cui si paventa l’ignoto, ovvero l’angoscia, annulla lo Skopeo. Pertanto, il giovane è proclive a condensare il piacere offertogli da paradisi artificiali, per dissolvere il tedio esistenziale plasmato dal tempo futuro, ed al limite, intende causare la propria fine. 

Onde scorgere le radici di tale disagio e dirimere le cause dei frequenti casi di suicidio giovanile, Galimberti compie un’indagine sulla causa, analizzando comportamenti ed attitudini degli elementi circostanziali di rilievo nei momenti formativi del giovane. 

Una premessa fondamentale è la distinzione tra ciò di cui l’uomo è dotato per natura, e ciò che deve essere assunto nel suo corso. 
Galimberti distingue l’istinto, prerogativa della specie animale, dalla pulsione a meta indeterminata, caratteristica innata dell’uomo. L’istinto è una risposta rigida allo stimolo captato. La pulsione non è altrettanto ordinata ed è un impulso psichico. Inoltre, per natura l’uomo è dotato di emozioni sia naturali che culturali, giacché, in relazione al tipo di cultura, varia ciò che produce la dimensione emotiva.

Il sentimento non è congeniale, e dunque deve essere acquisito. Proprio per questa ragione la riflessione di Galimberti affonda le radici negli episodi educativi del bambino, protratti sino alla crescita adolescenziale. Consuetamente la trasmissione del sentimento avveniva in maniera orizzontale, ad esempio, nella dialettica greca, avveniva con l’ausilio dei miti, dalla cui narrazione si imparava una prima distinzione tra bene e male, tra ciò che oltrepassa il limite e ciò che è lecito, e così via. 

La genealogia condotta nell’incontro è estremamente significativa, data l’irreversibilità dell’acquisizione concettuale e sentimentale infantile. La letteratura offre un accompagnamento nell’educazione del sentimento. Naturalmente è anche uno strumento necessario all’edificazione del pensiero. Le figure che vi scorgiamo sono paradigmi da cui imparare le retroazioni.

Il risultato di un’educazione al sentimento è la capacità di cogliere la distinzione tra bene e male mediante il senso di colpa, la volontà di assaporare l’indigenza da cui deriva il desiderio, la possibilità di fidarsi degli individui in cui ci si imbatte. Se l’educazione non venisse conseguita efficacemente si potrebbero generare squilibri che nella crescita individuale determinerebbe Psicopatia (apatia della psiche, e dunque momento in cui la differenza tra il bene ed il male non viene percepita), insensibilità nei riguardi del desiderio, demenza precoce (una scissione che si manifesta con la carenza di fiducia).

In particolare, nell’età precoce (secondo Freud da 0 a 6 anni, mentre secondo le neuroscienze da 0 a 3 anni) si tracciano le mappe cognitive e le mappe emotive, che rispettivamente determinano il modo con cui si conosce ed il modo in cui si percepisce il mondo. Per questa ragione il ruolo del genitore deve essere attivo, per eludere eventuali lacune di identità, considerato che il Super-Io è condizionato dalle abitudini sociali, ed a sua volta determina i movimenti della coscienza. 

Galimberti si è soffermato sulla concezione di identità come prodotto sociale citando Aristotele, il quale sostiene che se un individuo entra in una città pensando di far a meno degli altri, o è bestia o è Dio, ed anche se fosse Dio non sarebbe felice siccome è solo, Monakos. 

Marcel Proust afferma che “noi non siamo un tutto materialmente costituito, identico per tutti e di cui ciascuno non deve far altro che prendere conoscenza come d’un capitolato d’appalto o di un testamento” e soprattutto “la nostra personalità sociale è una creazione del pensiero d’altri”. Proust è consapevole che l’apparenza fisica di un individuo esprime il contenuto della persona. Di fatto ciascun individuo viene plasmato dalla mente di altri componenti della società, in osservanza dei codici civili. Pertanto, ogni volta che incontriamo un volto, sappiamo enumerare alcune circostanze del suo presente.

Il genitore ha il compito di destare il desiderio del bambino, al fine di cancellare l’eventuale mancanza di interessi personali e di curiosità, i quali dovrebbero indicare il potenziale sentiero futuro che ponga il soggetto a proprio agio. Il bambino non deve essere circondato di troppi oggetti altrimenti il meccanismo di sublimazione (suggerito da Freud) viene deviato. La sublimazione è un processo di spostamento della libido su oggetti o azioni, attuato al fine di scaricare le pulsioni ostacolate dal Super-Io (e per estensione, dalla società).

Quando i bambini cominciano il percorso educativo nelle scuole primarie, i genitori dovrebbero accompagnare pacificamente l’individuo e sostenerlo riconoscendone i successi. Tuttavia, ancora più significativa è la fiducia che il genitore è tenuto a rivolgere alla maestra, una guida secondaria nel processo educativo del bambino.
In sintesi, in assenza di collaborazione tra scuola e famiglia, il bambino non saprebbe di chi fidarsi, e nella crescita potrebbe portare dentro la propria persona uno squilibrio, e manifestarlo o con l’incapacità di attuare differenziazioni emotive, o con l’incapacità di riporre fiducia negli altri. 

Un ruolo molto importante è affidato ai professori delle scuole secondarie di primo e (soprattutto) di secondo grado. Galimberti afferma che il professore altro non è che un attore: (come dice Platone) aprendo il cuore, si apre la meta. L’apertura emotivo-sentimentale comporta l’apertura al pensiero. Il filosofo afferma che prima di istruire gli studenti, l’insegnante debba ascoltare e capire le loro intelligenze. La percezione e la consapevolezza dei cambiamenti che l’adolescente ha di sé e del mondo, l’educazione al sentimento offertagli dalla letteratura e dalla cultura, sono paradigmi che l’individuo deve tenere saldamente in considerazione: qualora non si conoscessero i propri sentimenti, l’angoscia acuirebbe e non si individuerebbero vie d’uscita.  

Nel passaggio dall’età infantile a quella adolescenziale l’individuo cambia la modalità di percepire il mondo: dalla dimensione verticalizzata, si ambienta solo nella dimensione orizzontale. Ciò determina l’efficacia univoca della comunicazione con i coetanei, sebbene nell’infanzia siano stati i genitori e le maestre a porre l’individuo a proprio agio. 
È importante che il genitore tenga ben presente che tale passaggio risulta doloroso: Galimberti ribadisce che rinunciare all’amore che li ha accompagnati per dodici anni, comporta l’incremento di angoscia, di paura per l’incerto, che retroagisce con l’aggressività. Di fatto, egli consiglia di non paventare la veemenza adolescenziale, affinché non si determinino ulteriori motivi di disagio; al contrario si dovrebbe tenere in considerazione che è un passaggio naturale. 

Nella vita adolescenziale si attua una prima finestra dialogica con la propria interiorità, a causa della trasformazione fisica (più visibile nella donna che nell’uomo) e del mondo esterno (ad esempio, se prima il tramonto determinava la conclusione della giornata, in adolescenza declama la dimensione erotica), a loro volta accompagnate della comparsa della sessualità e dell’aggressività. Come espletato in precedenza, l’interiorità risponde delle convenzioni sociali.

La critica compiuta da Kafka in merito al potere detenuto dalle strutture sociali ne “Il castello”, mette in luce che la nostra identità si ispessisce e si dilania in rapporto alle strutture sociali in cui è inserito. Lo stesso messaggio emerge dalla filosofia di Marx, dalle parole di Manzoni e dalle pagine di denuncia verghiane: ottemperandosi alle leggi, l’uomo abnega il vigore del proprio intelletto e l’empito biologico di cui è in possesso.

Erroneamente la società non investe sulla potenza intellettuale e naturale che contraddistingue l’uomo dai 15 ai 30 anni, al fine di conservare il proprio potere. L’ignoranza del popolo corrobora lo sviluppo della tecnica, e d’altra parte acuisce l’inevitabile declino occidentale nella corruzione dei costumi. 
Galimberti parla del sistema capitalistico in termini di Nichilismo economico, poiché la logica consumistica si fonda sul niente (come dimostra la sospensione delle attività produttive nel momento Covid: l’assenza di produzione determina l’assenza del consumo ed il conseguente dissesto economico) e si erge verso la propria dissoluzione (lo stesso concetto di consumo è figlio del nichilismo: portare ad esaurimento la merce nell’arco temporale più breve possibile). 

Secondo Galimberti le popolazioni migranti deterranno il potere globale, e questa consapevolezza infervorisce l’alterigia occidentale. Per questa ragione è una civiltà razzista. Il timore in questione ha un’origine dimostrata: un periodo di effervescenza economica in occidente si verificò con il colonialismo, e dunque mediante lo sfruttamento della potenza biologica straniera.

Naturalmente anche il tracollo economico comportato dalla fine del colonialismo è stato un altro campanello d’allarme. Dunque, i fari dell’Occidente (l’Europa e l’America), che paventano la perdita del dominio globale, reagiscono con l’emarginazione delle popolazioni stranire in ambito economico e sanitario, nella speranza che le condizioni di povertà in cui sono costretti a vivere causeranno loro estinzione. Dunque, il terrore di perdere la propria ricchezza risulta frastornante al punto da desistere al comune buonsenso, od esimersi dalla solidarietà verso l’oppresso.

Il discorso effettuato dal dottor Galimberti vuole riflettere sul netto incremento di suicidi giovanili e trovare eventuali soluzioni a tale crescita di disagio. Il messaggio ultimo è che si devono ascoltare le idee dei giovani, se ne devono comprendere ed apprezzare le capacità. Inoltre, porta a giustificazione che l’investimento sulla potenza dei giovani, potrebbe persino rinvigorire il sistema globale e risolvere le renitenze occidentali.

Giorgia Spaziani