Giovane italiano consegue 5 lauree in 6 anni, un esame a settimana con la media del 30

Una rigorosa base scientifica, la giusta quantità di indicazioni pratiche e un pizzico di autobiografia per rendere il tutto più leggero. E’ seguendo questo schema che Giulio Deangeli ha scritto il suo libro «Il mio metodo geniale». E qualcosa di geniale deve averlo davvero visto che Deangeli, 26 anni originario di Este nel Padovano, ha conseguito cinque lauree in sei anni e oggi, oltre ad essere l’unico italiano ad aver vinto la borsa di studio Harvard Hip, sta completando un dottorato di ricerca in neuroscienze a Cambridge, selezionato tra 23 mila candidati. 

La sua ricerca è sulle malattie neurodegenerative che lui definisce: «La vera pandemia mondiale». Il suo libro, edito da Mondadori, sarà in edicola a partire dal 25 gennaio ma ha già scalato le classifiche di vendita online arrivando al secondo posto. Raggiunto al telefono in Inghilterra, Deangeli è un fiume in piena di parole e risate mentre assicura che raggiungere i suoi risultati: «Bastano metodo e determinazione». Due cose che Deangeli ha avuto fin da bambino, insieme all’amore per lo studio: «Mi è sempre piaciuto studiare. Ricordo ancora le prime ricerche sul corpo umano alle scuole elementari, studiando sulle enciclopedie. Credo che la mia passione per la ricerca sia nata lì». Dopo il liceo, Deangeli si è trasferito a Pisa dove ha compiuto l’incredibile percorso accademico. Sostenendo un esame a settimana con la media del 30, in soli sei anni ha conseguito le lauree in Medicina, Biotecnologia, Ingegneria, Biotecnologia molecolare all’università di Pisa e il Diploma in Scienze mediche della Scuola Sant’Anna.

Va precisato che in Italia è vietato essere iscritti contemporaneamente a più facoltà, ma Deangeli ha sfruttato il regolamento dell’Università di Pisa che gli ha consentito di sostenere esami in più rispetto al suo corso di studi e una volta laureatosi in Medicina si è iscritto alle altre facoltà completandole una dopo l’altra. Nel frattempo, nel 2016 ha vinto la borsa di studio per Cambridge e nel 2018 quella di Harvard, unico italiano nella storia dell’università ad aver partecipato. E i risultati delle sue ricerche sono stati pubblicati su Science. A dargli lo stimolo ad avviare questi incredibili percorsi di studi paralleli, ci racconta, è stato il suo tutor alla Scuola di Sant’Anna: «Ho sempre sognato di fare il ricercatore e lui, fin dal primo giorno, ci ha detto che, per fare ricerca ad alto livello bisogna saper parlare i linguaggi formali di diverse discipline. Così ho iniziato a studiare e a dare esami». 

A sentire lui, nulla di strano o di difficile. Merito del suo metodo che ha deciso di mettere nero su bianco nel suo libro, che vuole essere una sorta di manuale: «Scrivendolo mi sono posto tre obiettivi: prima di tutto un background scientifico rigoroso sui principi neuroscientifici, raccontato però in modo leggero e godibile. Una parte pratica molto concreta, perché molta della letteratura divulgativa tende a essere astratta. E un’anima autobiografica per raccontare il mio metodo e come lo applico». Deangeli ci anticipa quali sono alcuni suoi dei «trucchi» per ottimizzare lo studio: «Scrivere a mano, rielaborando le nozioni studiate. E ripetere a voce alta, sempre rielaborando, principi e formule. Interrogarsi è una tecnica molto efficace, io l’ho sempre usata». 

Le sue tecniche sono ora raccolte nel libro che sarà presentato dal 25 gennaio, quando Deangeli tornerà in Italia per un tour di promozione, lasciando temporaneamente il suo laboratorio di Cambridge e la sua ricerca sul Parkinson: «Mi occupo in particolare di cercare di ricostruire il viaggio che le proteine (il cui accumulo è ritenuto causa della malattia) fanno verso il cervello – spiega -. Queste malattie sono la vera pandemia del nostro tempo, una persona su quattro ne viene colpita e si calcola che questo dato quadruplicherà entro il 2050. E’ una terribile emergenza sociale che si porta via il 2% del Pil delle nazioni, per non parlare dei costi umani che non sono quantificabili. Ho vissuto personalmente la malattia di mio nonno e l’impotenza che si prova. Perché non ci sono cure e i farmaci di cui disponiamo non sono che palliativi, che leniscono i sintomi». corriere.it