Greco e latino, chi studia al Classico ha una marcia in più
Spettacoli teatrali, mostre, concerti, perfino degustazioni ispirate al mondo antico. Quest’anno saranno 436 istituti che, da un capo all’altro della penisola, apriranno le loro porte al pubblico in occasione della sesta edizione della Notte nazionale del liceo classico. L’appuntamento è per venerdì 17, dalle 18 a mezzanotte. Prendiamo Boris Johnson, primo ministro britannico effervescente e dinamico (per usare due eufemismi). Da sindaco di Londra reintrodusse il latino nelle scuole pubbliche della Greater London e ora progetta di farlo in tutta la Gran Bretagna. Lo studio del latino, secondo lui, «è un inizio eccellente per comprendere la struttura della lingua», per questo bisogna evitare «che la sua conoscenza sia limitata solo a chi ha avuto il privilegio di una educazione privata». Il latino come strumento di conoscenza democratica, insomma.
Ogni anno si celebra una specie il rito in onore del liceo classico. E alla fine si raccontano un po’ sempre le stesse storie. Il latino e il greco come «ginnastica mentale», come strumenti (per dirla con Boris Johnson) per comprendere la radice delle strutture linguistiche e come possibilità di impadronirsi della capacità di espressione. Mario Draghi, in questa battaglia a favore delle lingue dell’antichità (che non sono «lingue morte» perché vengono studiate e correntemente utilizzate negli studi non solo accademici) viene tirato in ballo continuamente: un grande economista, l’uomo che ha guidato la Banca Centrale Europea dal 2011 al 2019 negli anni più difficili per l’Euro ha alle sue spalle un solido liceo classico. Che evidentemente lo ha preparato (riecco il concetto di «ginnastica») ad affrontare il vasto universo della complessità: dal latino e dal greco fino ai difficili equilibri economici della moneta unica dell’Unione Europea. Di economisti che maneggiano bene Erodoto e Cicerone sono pieni i vertici di grandi multinazionali e di solide banche internazionali.
La domanda di molti genitori (e di schiere di ragazzi) è spesso molto basilare: a cosa «servono» quelle due lingue? Se col verbo «servire» si intende qualcosa che abbia a che fare con una utilità pratica e immediata, come suggerisce la radice (servo, ovviamente da «servus», un sottoposto che attende un comando) il latino e il greco non «servono» a nulla. Nessuno entra in un negozio e si esprime in una delle due lingue. Ma il liceo classico, nella sua articolazione (latino, greco, italiano, filosofia accanto a fisica, storia, scienze naturali, storia dell’arte, inglese o francese) offre una possibilità straordinaria: quella di aprirsi a realtà culturali diverse tra loro individuando però un filo comune: diventare padroni di registri differenti, saper intuire per esempio subito il senso di una etimologia molto più frequente di quanto non si possa sospettare. Se hai in casa un anziano in difficoltà, dovrai cercare un gerontologo (che sintetizza due vocaboli greci), se hai disturbi di digestione chiamerai un gastroenterologo (e siamo a tre vocaboli). Invece di subire tutto questo, lo si comprende e lo si domina. Ma sono solo dettagli rispetto al vero, insostituibile dono del liceo classico: dopo anni di traduzioni, di scoperta e di applicazione delle regole, molti itinerari anche professionali saranno più accessibili. I bicipiti mentali possono sollevare qualsiasi peso pratico. Chiedetelo a Boris Johnson o a Mario Draghi. corriere.it