Hakan Sukur, da calciatore dell’Inter a chauffeur di Uber
Costretto a vivere da esule negli Stati Uniti, Hakan Sukursi ritrova a vivere la curiosa parabola da stella del calcio turco (oltre che autore del gol più veloce nella storia dei Mondiali: nel 2002 impiegò 11 secondi nella finale per il terzo posto Turchia-Corea del Sud), con un passato in Italia con le maglie di Torino, Inter e Parma, a conducente di Uber. In un’intervista al Welt am Sonntag, l’ex attaccante racconta della triste parabola che ha preso la sua vita e accusa il governo turco guidato da Erdogan di perseguitarlo. «Quale sarebbe stato il mio ruolo? Fino a oggi nessuno è stato in grado di spiegarlo — spiega Sukur —. Ho fatto solo cose legali nel mio Paese. Possono indicare quale crimine avrei commesso? No, sanno solo dire traditore e terrorista. Sono un nemico del governo, non dello Stato o della nazione turca. Adoro la mia bandiera e il nostro Paese».
Tutto inizia nel 2008, anno del suo addio al calcio con il Galatasaray. Nel 2011 Hakan Sukur entra a far parte dell’Akp, il partito che vede Erdogan tra i cofondatori. La sua avventura dura soltanto due anni perché nel 2013 decide di uscirne dopo uno scandalo corruzione e finisce col pagare le conseguenze della rottura tra Erdogan e Fethullah Gulen, il predicatore che vive negli Stati Uniti ed è accusato dal governo turco di terrorismo. Così anche Hakan Sukur — che sostiene Gulen — finisce nel mirino della giustizia turca perché incriminato per alcune frasi su Erdogan e il figlio Bilal. I suoi beni sono quindi tutto congelati. Fortuna per lui essere emigrato negli States nel 2012.
«Il negozio di mia moglie — racconta il turco — era stato preso a colpi di pietre, i miei figli sono stati aggrediti per strada, io venivo minacciato per ogni affermazione che facevo». Nel 2015 Hakan Sukur aveva anche aperto un locale in California, ma «veniva strana gente a suonare la dombra», strumento musicale al quale spesso l’Akp fa riferimento come simbolo della vera musica turca. Intimidazioni, insomma, che hanno spinto l’ex giocatore a trasferirsi a Washington dove ora fa l’autista Uber. «Non ho più nulla, Erdogan mi ha preso tutto. Quando sono andato via dalla Turchia hanno arrestato mio padre e mi hanno confiscato tutto quello che avevo. Mi hanno portato via anche la libertà, il diritto alla parola, anche il diritto al lavoro». corriere.it