I frati cercano una perpetua, pubblicano annuncio online ecco l’identikit
O tempora o mores! Come sono cambiate le relazioni nella nostra società, se perfino i frati, per trovare una perpetua, devono ricorrere alle agenzie. Succede in questi giorni nell’Alto Vicentino. Sul sito di Veneto Lavoro (www.cliclavoroveneto.it) è apparso un annuncio di un ente religioso cattolico (i frati cappuccini) di Thiene: cercasi collaboratore domestico /collaboratrice domestica. C’è bisogno per cucinare circa 20 pasti al giorno, per «pulizia e cura degli spazi, riassetto». Naturalmente è richiesta esperienza (anche minima). Per ora il, contratto è a tempo determinato, in prova, circa tre mesi, ma l’obiettivo è la stabilizzazione. Orario 8-13 compreso fine settimana (sabato o domenica in alternanza). Pare che qualcuno abbia già risposto. Chissà se sarà un domestico di fede o una riservata perpetua, appunto.
La «perpetua», c’era quella di don Abbondio e quella di don Matteo. Quella dei Promessi Sposi, o de «I fratelli Karamazov» descritta da Fedor Dostoevskij, e pure quella di Padre Brown. Figure eclettiche o stereotipate, che si chiamassero Vittoria, Felicita o avesse altre sante protettrici in Paradiso, apparse come il perno attorno a cui hanno ruotato per secoli parrocchie di campagna o di montagna in questo nostro Paese.
Alessandro Manzoni ne ha fatto un prototipo, nome per antonomasia del personaggio raccontando la perpetua «serva affezionata e fedele, che sapeva ubbidire e comandare, secondo l’occasione, tollerare a tempo il brontolìo e le fantasticaggini del padrone, e fargli a tempo e tollerar le proprie».
Da quel giorno «Perpetua», è divenuto il nome innominato per tutte le domestiche dei preti.
Presto fatto il loro identikit. Scelte per lo più tra le madri o sorelle nubili dei religiosi, gente di famiglia, non più giovanissime, meglio se non vedove, votate per missione a servire, con umiltà, venerazione e reverenza, in silenzio, rigorosamente a tempo pieno e indeterminato, senza pretese contrattuali, impegnate sette giorni su sette, con la saggezza e l’arguzia affinate dall’esperienza. Memores Domini, avrebbe suggerito qualcun altro. Modelli forse inimitabili di questi tempi. Solo la letteratura le descrive di modesta scaltrezza e di assennata devozione. Figure minori per notorietà, ma solo in apparenza. Se avessero fatto un albo professionale si sarebbero contate a migliaia. Fino all’altro ieri, in Veneto, sparse nelle 10 diocesi, c’erano la bellezza di 2.114 parrocchie, con relative perpetue (solo a Padova erano 459, seguita da Verona con 380 e Vicenza 365). Quasi 2.800 i sacerdoti da accudire.
Ma loro, le servizievoli «donne del prete» avevano loro le chiavi della canonica, della dispensa, cantine comprese. Premurose fino al martirio, hanno usato un raffinato senso pratico per guidare i loro assistiti, diventando perfino filtro discreto per i contatti del prete con la comunità dei fedeli. Loro, dei preti che accudivano, sapevano in verità proprio tutto e lo zelo con cui si applicavano al servizio è stato foriero, nel popolo, di suggestive fantasie. Non per nulla erano blandite e ricercate, a partire dalle zelanti frequentatrici della «messa prima», quella celebrata all’alba, punto di riferimento specie per vedove e nubili, desiderose di carpire, come quando le incrociavano al mercato, il pur minimo e confessabile segreto sulla vita del paese. Una infinità di storie, di chiacchiere, ben prima dei social, hanno accompagnato la loro paziente e oscura esperienza di vita nel ruolo ufficiale di familiare del clero, collaboratrice del parroco, custode dei cappellani più giovani. Loro sempre disponibili, senza preconcetti (e magari senza pregiudizi), aliene (non sempre) ai pettegolezzi, apparentemente isolate a rispettare le privacy altrui, caparbie e involontarie (?) custodi dei mille segreti all’ombra dei campanili. Non ho mai conosciuto, però, una «Perpetua» felice di essere chiamata in questo modo.
Ma perché guardare indietro? Nel suo «Diario di un curato di campagna» Georges Bernanos, suggerisce: «A che serva parlare del passato? Mi importa solo l’avvenire, e non mi sento ancora capace di guardarlo in faccia».
Proviamo a dare qualche input per il domani delle perpetue. Consigliamo, non solo a loro, il recente «Diario di una perpetua di campagna. Un vita con i preti e… ci crede ancora», diventato gustoso titolo di un libello scritto da un prete torinese, don Diego Goso, che si nutre di fantasia e un pizzico di umorismo. Riassumendo, e prendendo spunto da un altro manuale, «Un Trattatello sulle virtù piccole», redatto nel Settecento dall’Abate Giovan Battista Roberti, con rigore gesuitico, ecco i consigli senza tempo, da praticare nella quotidianità, non solo a chi ha la vocazione…perpetua. Senza scomodare le più impraticabili virtù eroiche, quelle teologali, Fede, Speranza e Carità, e pure le Cardinali (per il Catechismo: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza), detto di bonarietà e schiettezza, suggerite altre dieci piccole virtù: affabilità, discrezione, lealtà, gratitudine, premura, urbanità, misura, pacatezza, costanza, generosità. E aggiungere la pazienza, conviene. corriere.it