Impresa dell’Italia, medaglia d’oro nella staffetta 4×100
L’ultima giornata di un Europeo che non dimenticheremo facilmente ha meritato ieri sera un inedito bis presidenziale: alle 20.30 Sergio Mattarella si è accomodato per il secondo giorno consecutivo nella sua poltroncina rossa di tribuna assieme al presidente del Senato La Russa e ai ministri Abodi, Giorgetti e Santanché. «Dopo la vittoria di Tamberi — ha spiegato il numero uno della Fidal Stefano Mei — gli ho detto di tornare a trovarci perché ci ha portato fortuna. Lui ha risposto: “Verrò domani stesso”». Il capo dello Stato non si è annoiato e non soltanto durante i 37”82 centesimi di una 4×100 mai così perfetta nei cambi, mai così feroce nelle motivazioni di quattro ragazzi (Melluzzo, Jacobs, Patta, Tortu) spinti per ragioni diverse a riscattare infortuni, delusioni e amarezze. Da manuale i cambi, di livello motoristico i tratti lanciati di Marcell (8”98) e Filippo (8”95) che ha usato ancora una volta la staffetta per lenire i dolori della prova individuale, di un argento che l’ha deluso. «Ciascuno di noi ha portato e assorbito energia positiva — ha spiegato Jacobs — e il nostro oro era l’unica soluzione possibile, l’unico risultato degno dei nostri compagni». Un’ora prima, ventisei anni dopo Fiona May, Larissa Iapichino aveva pareggiato i conti con l’illustrissima mamma che fu argento a Budapest nel 1998: seconda nel salto in lungo con 6 e 94 dietro alla marziana tedesca Mihambo, capace di volare con grazia infinita a 7 metri e 22. Larissa simbolo di un’Italia tenace che non si accontenta del talento, nel caso della fiorentina smisurato: sei salti, uno solo nullo, partendo dal quinto posto e rosicchiando ogni volta due centimetri alle avversarie. Dopo ogni atterraggio sulla sabbia, confronto con papà Gianni così perfezionista e meticoloso nel seguirla da arrivare a disegnarle le scarpe che poi un’azienda italiana ha confezionato solo per lei. «Sono stata brava a rimanere sul pezzo per tutta la gara — ha spiegato Larissa — resistendo ai crampi provocati dalla tensione. L’oro prima o poi arriverà, ora torno a casa ma ho già la testa su Parigi. Io non mi accontento mai».
Pietro Arese è arrivato alla medaglia (di bronzo) che il suo illustre quasi omonimo Franco (padre nobile del mezzofondo, poi presidente Fidal) conquistò d’oro nel lontanissimo 1971. Ma un bronzo nell’era di Ingebritsen è tanta roba per questo ragazzo della Fiamme Gialle che solo due settimane fa a Oslo ha demolito il vetusto record di Genny Di Napoli. Lacrime di gioia con rimpianto per non aver piegato il busto sul traguardo facendosi soffiare l’argento per quattro centesimi dal belga Vermeulen. «Avevo fatto l’abbonamento ai quarti posti — ha spiegato Arese — e ai quasi podi. Rammaricato del quasi argento, sono pieno di gioia per la mia prima medaglia». Ricevendo i complimenti da Mattarella, Arese se l’è cavata brillantemente: «Gli ho detto: “I compagni di squadra mi chiamano Il Presidente, quindi possiamo parlare da presidente a presidente».
Ha fattomiracoli d’argento anche la 4×400 azzurra (Sito, Aceti, Meli e Scotti) che pure aveva perso il fuoriclasse degli ostacoli Alessandro Sibilio per crampi in riscaldamento. C’era addirittura Marcello Fiasconaro (con Celerino, Puosi e Bello) l’ultima volta che andammo a medaglia nella staffetta del miglio e in quel caso portammo a casa il bronzo.
L’Europeo si chiude con un risultato di squadra clamoroso: 24 medaglie (11 ori, 9 argenti, 4 bronzi) il doppio del record storico, quello di Spalato 1991 che pensavamo di non poter mai più replicare. Mattarella ha lasciato l’Olimpico a notte fonda, non prima di essersi accertato che il più grande talento dell’atletica mondiale, Duplantis, portasse a casa l’ennesimo successo nel salto con l’asta di cui è monarca assoluto. All’Olimpico in una settimana sono passati 120 mila spettatori, non tantissimi. Ma i risultati azzurri e lo spettacolo di un’atletica diffusa (la pedana di lungo e triplo praticamente in tribuna, il palco delle premiazioni tra le meraviglie del Foro Italico) non potrà non migliorare il rapporto prudente di Roma con questo sport: chi non c’era si morde le mani.