Martiri delle Foibe, nessuno muore del tutto finché ne sia conservato il ricordo
di Laura Brussi*
Oltre mezzo secolo di colpevole silenzio da parte dell’Italia ufficiale è stato esorcizzato, sia pure con tanto ritardo e con un impatto tuttora parziale sulla coscienza etica e civile del popolo italiano, con la Legge 30 marzo 2004 n. 92, approvata con voto quasi unanime dal Parlamento italiano.
Nel 2022 il provvedimento acquista motivi di rinnovata attenzione, e di partecipazione non formale, se non altro perché diventa maggiorenne, andando a compiere diciotto anni di vigenza.
Altrimenti detta Legge Menia dal nome del suo primo firmatario, la normativa in parola ha voluto onorare le venti mila Vittime che in una stagione plumbea come quella del 1943-1947, protrattasi lungamente fino a guerra finita, oltre ai 350 mila Esuli costretti ad abbandonare le proprie terre giuliane, istriane e dalmate per fuggire l’angoscioso destino della morte in foiba o di prigioni allucinanti, e nello stesso tempo per rifiutare l’ateismo di Stato, il collettivismo forzoso e le altre “conquiste” del verbo di Tito.
Il riconoscimento del legislatore italiano non ha cancellato tutte le ombre. Infatti, la memorialistica nel frattempo diffusa per iniziativa di oltre mille Comuni è oltraggiata pervicacemente da mani talvolta inconsapevoli se non anche criminali, mentre i riconoscimenti statuiti in onore delle Vittime, essendo stati riservati alla richiesta degli aventi causa e non anche a quella delle Amministrazioni locali di competenza, non sono stati conformi alle potenzialità, stante il tempo trascorso dai fatti, che non ha facilitato le ricerche.
Ecco un buon motivo in più per auspicare la proroga a tempo indeterminato dell’attuale termine ventennale per il conferimento delle Medaglie con cui “la Repubblica ricorda”.
Nondimeno, lo scopo fondamentale della Legge 92, che resta quello di attirare l’attenzione di tutti e di ciascuno sulla tragedia dei Caduti, sul dramma degli Esuli e sulle “complesse vicende del confine orientale”, a cominciare da quelle rivenienti dal trattato di pace del 10 febbraio 1947 – data scelta non casualmente per la celebrazione annuale del Ricordo – continua ad essere perseguito con crescente, matura consapevolezza, in specie nei consessi istituzionali e nelle scuole di ogni ordine e grado.
Ben Gurion ha affermato che “nessuno muore del tutto finché ne sia conservato il ricordo”. L’assunto deve essere pienamente condiviso in specie nel nuovo millennio, se non altro per abbattere il rischio di celebrazioni rituali e quindi ripetitive, e per promuovere la necessità che la memoria non resti fine a se stessa, ma sia arra di progresso civile e morale, idoneo a sviluppare l’auspicio di tante “egregie cose” in tutti i cittadini di buona volontà.
*Opera Nazionale per i Caduti senza Croce