Montefiascone, la missione contemplativa delle benedettine ecco il monastero di San Pietro
di Giuseppe D’Onorio*
Raggiungiamo Montefiascone, caratteristica cittadina nel viterbese, in una giornata di fine aprile; il cielo, pulito da un leggero ma fresco vento di ponente, è di un azzurro intenso. Sulla sommità della collina domina la Rocca papale fatta costruire da Innocenzo III; e più in basso si impone la cupola della cattedrale di Santa Margherita, progettata da Antonio Sangallo il giovane; nella parte bassa della cittadina si trova la splendida basilica di San Flaviano, a due piani, eretta nel XII secolo e caratterizzata all’interno da un ciclo di pregevoli affreschi. La nostra meta è raggiungere un altro prezioso monumento che Montefiascone custodisce nel suo medievale centro storico, quello che incarna il valore del silenzio e della preghiera: il monastero di San Pietro. Qui vi è la presenza delle benedettine dell’Adorazione perpetua2 che nel 1921 vennero a dare nuova linfa spirituale alla vita monastica femminile presente nella cittadina da diversi secoli3. Lontane dagli occhi del mondo le religiose vivono, in modo particolare, il sacrificio redentivo di Cristo con l’adorazione diuturna del SS. Sacramento. Ad accoglierci è suor Agnese, la portinaia, che ci invita ad attendere per incontrare la madre priora. Mentre assaporiamo e riflettiamo sul valore del silenzio monastico, si presenta Madre Maria a guida della comunità dal 2013. Bastano il sorriso, che le illumina gli occhi, e poche parole per comprendere che ci troviamo di fronte ad una persona con una profonda gioia nel cuore che scaturisce dal vivere totalmente il carisma dell’adorazione, scelta compiuta da giovane quando il mondo le sorrideva. È naturale allora soffermarsi con lei sul perché il mondo di oggi sia così restio alla scelta della vita claustrale. Madre Maria ci invita a guardare oltre l’attuale momento di crisi vocazionale religiosa dovuta principalmente ai grandi cambiamenti epocali che caratterizzano il tempo odierno; ci ricorda che i monasteri, pur nella attuale ristrettezza dei numeri, sono quei luoghi dove lo sguardo non è mai rivolto al contingente, ma all’Eterno, al Signore Risorto, vera luce che illumina il buio e dà senso all’esistenza. La clausura non è il luogo dove si vive con l’ansia della precarietà, ma un ambiente caratterizzato dalla speranza. E le monache, oggi più di ieri, devono testimoniare al mondo cosa significhi sperimentare la bellezza dell’alba di Dio che non ha tramonto. Nel monastero di S. Pietro a Montefiascone l’Ora et labora è incarnato da 12 monache, di nazionalità diverse: quattro italiane, sette ecuadoriane, una gabonese; la sorella più anziana, suor Agostina, ha novant’anni mentre quella più giovane, suor Sophia, ne ha ventinove. E tutte respirano la grande eredità spirituale lasciata dalle religiose che le hanno precedute e in particolare quella di madre Cecilia Baij che, entrata in monastero il 12 aprile 1713 e salita al cielo il 6 gennaio 1766, è diventata con la sua esemplare vita religiosa e i suoi scritti «una apostola e una messaggera dell’amore di Dio, nonché una grande mistica del secolo XVIII»4.Dopo il breve colloquio introduttivo, la madre Maria ci affida alla vice priora che ci guida nella visita di alcuni ambienti monastici
di particolare interesse. Suor Benedetta, originaria dell’Ecuador, parla un ottimo italiano e subito ci conduce nel luogo dove è conservata la storia delle benedettine di Montefiascone: l’archivio; è qui che possiamo conoscere maggiormente le vicende del monastero e trovare i documenti di nostro interesse. Purtroppo un incendio verificatosi ad inizio del Seicento comportò la perdita della maggior parte degli antichi documenti, ma dopo tale tragico evento la comunità comprese che non poteva fare a meno della propria storia e decise così di scrivere la Memoria della fondazione del venerabile monastero di Montefiascone. Abbiamo l’opportunità di sfogliare il manoscritto della metà del XVII secolo e leggiamo: «Sono più di dieci secoli, che con somma prudenza, et arte fu fondato questo nostro Monastero di San Pietro qui in Montefiascone». Anticamente il titolo di San Pietro apparteneva ad un monastero maschile ubicato in prossimità del lago di Bolsena; il primo documento che fa riferimento ad esso è la bolla papale di Leone IV dell’anno 852 che conferma al vescovo di Tuscania, Virobono, alcuni beni tra i quali quello di «Sancti Petri in vico pergulata secus suprascriptum lacum»5. Nei secoli successivi la presenza dei monaci benedettini venne meno e il titolo di San Pietro passò alla chiesa che sorse all’interno della cinta muraria di Montefiascone; accanto ad essa venne edificato il monastero femminile che inizialmente era dedicato a santa Bibiana. Solo alla fine del Quattrocento alcuni documenti fanno riferimento a Donna Leonarda «abatissa monialium monasterij Sancti Petri de Montefiascone»6. Nei primi secoli di vita la comunità monastica alternò periodi di splendore ad altri di grandi ristrettezze economiche. Una triste pagina fu vissuta dalle benedettine a seguito della soppressione napoleonica: il 15 giugno 1810 le monache, dopo secoli di continua presenza dentro le mura delclaustro, furono costrette a lasciare la loro casa. Passarono cinque lunghi anni e finalmente le religiose ripresero possesso del monastero. Altre difficoltà, però, erano alle porte e giunsero nel 1849 quando fu proclamata la Repubblica Romana e poi con l’avvento del Regno d’Italia. Nel 1870 il nuovo Stato confiscò l’intero complesso per metterlo all’asta nel 1905, ma con grandi sacrifici le monache riuscirono a riacquistarlo. Periodi non certamente facili furono quelli della prima e della seconda guerra mondiale. Nel 1941 e nel 1942 il monastero corse il pericolo della requisizione delle loro campane, ma fortunatamente ciò non avvenne. A questo proposito suor Benedetta ci mostra un interessante fascicolo contenente la relativa corrispondenza avuta con le autorità ecclesiastiche che chiedevano informazioni dettagliate sui loro bronzi. In un’altra cartella sono presenti alcuni fogli ingialliti, dove sono riportate le trascrizioni delle epigrafi e riprodotto l’apparato iconografico.
Si interessò delle campane del monastero Madre Angela quando nel 1978 trascrisse attentamente le epigrafi e le immagini presenti su di esse. L’occasione le venne offerta quando nel 1978 i vasi sonori, per essere elettrificati, vennero scesi e collocati provvisoriamente sul terrazzo monastico14. Lasciamo il campanile e seguiamo suor Benedetta che ci conduce nel coro minore. Qui troviamo alcune monache in adorazione davanti al SS.mo Sacramento e ci muoviamo, allora, con molta discrezione per non turbare il valore del silenzio e della preghiera, essenziale per chi con il cuore e con la mente colloquia con Dio. Ammiriamo ugualmente gli affreschi tornati alla luce nel 1907 e nel 1972. Quando, nei primi anni del Novecento, venne rimossa dalla parete di fondo la terracotta invetriata di scuola robbiana, raffigurante la Madonna in trono tra san Benedetto e santa Bibiana, per essere portata in cattedrale, tornò alla vista una nicchia con l’immagine del Padre Eterno che regge tra le braccia il Figlio in croce, una Madonna con bambino e l’arcangelo Gabriele. Gli interventi di recupero eseguiti nel 1972 fecero emergere altri frammenti di affreschi risalenti al XIV. Tra questi colpisce maggiormente la delicatezza del volto della Madonna che mostra ai Magi il Bambino Gesù in fasce. Di epoca successiva sono gli altri dipinti che si trovano nella parete destra del coro: le Nozze mistiche di santa Caterina d’Alessandria, santa Scolastica, santa Brigida di Svezia. Cerchiamo di individuare le altre figure di santi e sante, ma il suono di una campana richiama le monache in coro per la recita dell’ora sesta e avverte anche noi che occorre lasciare la clausura. Rimane solo il tempo di rivolgere a Madre Maria, alla vicepriora e all’intera comunità il sentimento della gratitudine per averci fatto toccare con mano la storia, l’arte e la spiritualità del monastero di San Pietro. Il grande portone di legno si chiude alle nostre spalle; dentro il claustro, però, le benedettine di Montefiascone continuano ad attuare il programma caro alla fondatrice convinte che come l’Eucarestia fa la chiesa, così l’Eucarestia fa la comunità monastica.
*Già sindaco di Veroli