Mussolini fu destituito per alzata di mano
[one_third][/one_third] Settantadue anni fa avvenne la votazione dell’ordine del giorno Grandi in seno al Gran consiglio del fascismo. La feroce dittatura cadde a seguito di un dibattito democratico, con un voto a maggioranza e il dittatore fu destituito per alzata di mano.
La votazione si chiuse con 19 voti favorevoli, 7 contrari, un astenuto. Roberto Farinacci, il ras di Cremona, presentò un suo ordine del giorno e lo votò.
Riportiamo ora quello che Dino Grandi, già ministro degli esteri, ambasciatore d’Italia a Londra e presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, presentò a Mussolini e ai gerarchi appartenenti al Gran consiglio del fascismo il 24 Luglio 1943, nella sala del Pappagallo in palazzo Venezia.
“Il Gran Consiglio, riunendosi in questi giorni di supremo cimento, volge innanzitutto il suo pensiero agli eroici combattenti d’ogni arma che, a fianco della fiera gente di Sicilia, in cui più alta risplende l’univoca fede del popolo italiano, rinnovano le nobili tradizioni di strenuo valore e d’indomabile spirito di sacrificio delle nostre gloriose Forze Armate. Esaminata la situazione interna ed internazionale e la condotta politica e militare della guerra, proclama il dovere sacro per tutti gli italiani di difendere a ogni costo l’unità, l’indipendenza, la libertà della Patria, i frutti dei sacrifici e degli sforzi di quattro generazioni, dal Risorgimento ad oggi, la vita e l’avvenire del popolo italiano; afferma la necessità dell’unione morale e materiale di tutti gli italiani in quest’ora grave e decisiva per i destini della Nazione; dichiara che a tale scopo è necessario l’immediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali; invita il Capo del Governo a pregare la Maestà del Re, verso la quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la Nazione, affinché egli voglia, per l’onore e per la salvezza della Patria, assumere con l’effettivo comando delle Forze Armate di terra, di mare e dell’aria, secondo l’articolo 5 dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione, che le nostre istituzioni a lui attribuiscono, istituzioni che sono sempre state in tutta la nostra storia nazionale il retaggio glorioso della nostra augusta dinastia di Savoia”.
Mussolini inizialmente fu contrario alla convocazione del Gran consiglio il 24 Luglio 1943 ma le pressioni furono tali da non permettere al duce di agire diversamente. Il Gran consiglio non veniva convocato dal 1939, cioè da quando i gerarchi votarono lo stato di non belligeranza dell’Italia a seguito dell’invasione della Germania ai danni della Polonia e allo scoppio della seconda guerra mondiale.
La seduta del 24 Luglio ebbe inizio alle 17 e si concluse alle due del giorno seguente dopo duri scontri e accesi diverbi. Per questo motivo passò alla storia come il 25 Luglio perché la votazione avvenne il giorno dopo rispetto alla data di convocazione della riunione. Dino Grandi entrò in palazzo Venezia e restò nella sala del Pappagallo, custodendo nella sua borsa due bombe a mano mentre gli altri fascisti erano armati di pistole e di pugnali. Nessuno sapeva cosa sarebbe potuto accadere e i gerarchi si temevano tra loro. Il clima era teso, in quella sala erano riunite le persone più importanti dell’Italia fascista e si decideva il futuro della amata Nazione.
Alle 2 di mattina del 25 Luglio il segretario del Partito nazionale fascista, Carlo Scorza, mise ai voti l`ordine del giorno Grandi. Dalla votazione emersero diciannove voti a favore, Dino Grandi, Giuseppe Bottai, Luigi Federzoni, Galeazzo Ciano, Cesare Maria De Vecchi, Alfredo De Marsico, Umberto Albini, Giacomo Acerbo, Dino Alfieri, Giovanni Marinelli, Carluccio Pareschi, Emilio De Bono, Edmondo Rossoni, Giuseppe Bastianini, Annio Bignardi, Alberto De Stefani, Luciano Gottardi, Giovanni Balella e Tullio Cianetti. Otto voti contrari, Carlo Scorza, Guido Buffarini-Guidi, Enzo Galbiati, Carlo Alberto Biggini, Gaetano Polverelli, Antonino Tringali Casanova, Ettore Frattari e Roberto Farinacci, che votò il suo ordine del giorno. Un astenuto, Giacomo Suardo, presidente del Senato del Regno.
Al termine della votazione Mussolini restò ancora nel suo studio in Palazzo Venezia, nella sala del Mappamondo, in seguito fece ritorno a villa Torlonia. Sua moglie, donna Rachele, restò in piedi quella notte e appena udì l’auto entrare nel parco gli andò incontro dicendogli di fare arrestare tutti i congiurati. Il duce le rispose che lo avrebbe fatto. Erano le cinque.
Alle 9 del 25 Luglio 1943 Mussolini tornò a palazzo Venezia, nel suo studio e ricevette Bastianini che aveva votato a favore dell’ordine del giorno Grandi e gli disse di preparare un progetto che dichiarasse Roma città aperta. Alle 14 Mussolini andò a visitare i quartieri romani colpiti dai bombardamenti angloamericani. Alle 17 il duce incontrò il Re a villa Savoia. Anche il sovrano era armato, come del resto i gerarchi in seno al Gran consiglio del fascismo e chiese addirittura al suo aiutante di campo, Gen. Paolo Puntoni, di restare nei pressi dell’ingresso della sala in cui avvenne l’incontro e di intervenire in caso di necessità. Qui, dopo un breve colloquio privato con Vittorio Emanuele III, Mussolini fu arrestato.
Tutti erano armati perché convinti che Mussolini dalle 17 del 24 Luglio 1943 usasse il proprio potere contro tutto e tutti pur di restare al proprio posto. Tutti armati tranne lui. Fu arrestato come un comune delinquente e tradito sia dai suoi camerati sia dal Re che nel 1922 gli conferì l’incarico di formare il governo. Governò che durò ventuno anni e che mise fine alla instabilità politica che aveva caratterizzato gli anni post-unitari e all’inefficienza dei partiti democratici che non difesero le istituzioni liberali. Dopo la fine della prima guerra mondiale l’Italia necessitava di una forza politica credibile, Mussolini seppe riunire reduci ed eroi di guerra, nazionalisti e monarchici intorno al fascio littorio. Una quantità impressionante di cittadini che aveva difficoltà a ricollocarsi nella società italiana e che sposò la causa fascista perché causa di rinnovamento politico. Il Re vide in Mussolini l’uomo che avrebbe assicurato l’ordine sociale di cui l’Italia aveva bisogno.
Fu sicuramente un governo autoritario e non un regime totalitario. Le libertà fondamentali dell’individuo non furono ampiamente garantite ma addirittura ci fu spazio per la satira politica. Numerosi gli esempi, tra gli altri il giornale Marc’Aurelio e la rivista Bertoldo. Paradossale che potesse esistere la satira politica in un “regime dittatoriale”. Questo per dire che la frase più volte ripetuta “Gli italiani non ne potevano più del fascismo perché non ne potevano più della guerra” ha un fondamento di verità. E’ riconosciuto storicamente che gli anni ‘30 furono gli anni del consenso. I cittadini non avvertivano desiderio di rivolta, gli oppositori emersero concretamente e si raggrupparono in maniera consistente soltanto dopo il 25 Luglio 1943. Addirittura, prima dell’alleanza con la Germania nazista, Mussolini riceveva encomi da parte di capi di stato e di governo dei paesi esteri. Anche papa Pio XI si pronunciò a suo favore «…Forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare…»
La seduta del Gran consiglio del fascismo del 24 Luglio 1943 e la votazione del 25 Luglio 1943 rappresentano dunque, a distanza di settanta anni, elementi significativi per una oggettiva e attenta valutazione dei fatti. I congiurati credevano, una volta destituito il duce, di poter continuare a governare senza Mussolini e di poter risolvere e limitare i problemi e le sciagure che la guerra aveva causato agli italiani. Al contempo non immaginavano che il sovrano, una volta servitosi di loro, realizzasse un altro progetto, appunto, conferire l’incarico di formare un nuovo esecutivo a Pietro Badoglio. In sintesi Vittorio Emanuele III utilizzò i congiurati per togliere di mezzo Mussolini, i gerarchi e il fascismo e non per far uscire l’Italia dalla guerra con due anni d’anticipo. In questo modo dopo ventuno anni si concluse l’era fascista, la stagione dell’Italia in camicia nera.
Il crudele dittatore fu destituito per alzata di mano.
G. F.