Nanga Parbat, alpinista salvata a 6700 metri ma rischia un’amputazione
Élisabeth Revol, 37 anni, è la prima donna ad avere raggiunto la cima del Nanga Parbat durante l’inverno. C’erano riusciti insieme nel 2016 l’italiano Simone Moro, lo spagnolo Alex Txikon e il pakistano Ali Sadpara.
Giovedì scorso la Revol ha usato il telefono satellitare per lanciare l’allarme: il compagno di cordata Tomek Mackiewicz stava male, cominciava a non vedere più a causa del forte riverbero in altitudine e aveva un principio di assideramento, mentre si trovavano ancora a 7450 metri. L’indomani Revol è riuscita a mettersi di nuovo in contatto con il suo assistente in Francia, a Gap, Ludovic Giambiasi, spiegando di essere arrivata a 7280. Mackiewicz era però peggiorato e aveva sintomi di edema polmonare e cerebrale. A quel punto viene presa la decisione fatale: impossibile salvare il compagno. Per avere qualche speranza che almeno uno ce la faccia, occorre abbandonare Mackiewicz. Revol riprende la discesa da sola, a sua volta colpita da un principio di assideramento.
Sabato mattina Élisabeth comunica di nuovo: è arrivata a 6700 metri, le dita del piede sinistro sono congelate ma è ancora lucida. A questo punto bisogna trovare i soldi perché l’elicottero dell’aviazione pakistana partecipi all’operazione di soccorso. Con una campagna di crowdfunding vengono raccolti 60 mila euro in meno di 24 ore, e gli alpinisti polacchi che si trovano poco lontano, sul K2, si dichiarano disposti ad abbandonare la scalata di quella cima per andare a salvare Élisabeth. «Non abbiamo avuto alcun dubbio, prima di tutto vengono le vite umane». Denis Urubko e Adam Bielicki sono due grandi alpinisti polacchi e hanno anche il vantaggio di essere già acclimatati alla forte altitudine. L’elicottero pakistano non riesce ad arrivare a quota 7000 dove era rimasto Mackiewicz. I soccorritori polacchi vengono lasciati al campo base del Nanga Parbat e cominciano la corsa contro il tempo per raggiungere la Revol. Alle due della notte di domenica c’è l’incontro.