Piazza San Marco oltre il palcoscenico, il Barbarossa costretto a baciare i piedi al Papa
di Giorgia Spaziani
Durante il dogato di Sebastiano Ziani (1172-1178), il papa Alessandro III (pontefice dal 1159 al 1181) trovò asilo a Venezia, in un convento sito accanto all’attuale Accademia. Venne accompagnato in piena notte a palazzo Ducale dove il Doge gli offrì ausilio. Si nascose sotto mentite spoglie, poiché l’imperatore Federico Barbarossa (in carica dal 1155 al 1190) minacciava frequentemente la conservazione del potere papale.
Ricordiamo che Venezia nacque come parte dell’impero bizantino e, seppure scelse sin dal 1054 la chiesa cattolica piuttosto che quella ortodossa, restò politicamente legata all’Impero Romano d’oriente: di fatto il doge era subordinato all’imperatore nella gerarchia del Sacro Romano Impero. Venezia fu abile nell’unione i due mondi (orientale e occidentale) sin da subito, per lo più attraverso legami coniugali.
Tornando in piazza San Marco, Venezia non restò neutrale, fece un passo: il passo che gli diede dignità politica. Così, Venezia sconfisse la flotta di Federico Barbarossa e papa Alessandro III chiese a costui di recarsi a Venezia, tentando di instaurare una pace, (che di fatto fu un buco nell’acqua). Il pontefice attirò Federico Barbarossa con uno stratagemma: se egli avesse voluto liberare dalla prigionia il figlio Ottone I Guglielmo di Borgogna, avrebbe dovuto recarsi a Venezia e chiedere perdono al Papa. Si tratta dell’evento simbolico in cui Barbarossa si accucciò al cospetto del Pontefice, sulla lastra di marmo (dov’è inciso “ALEX PP III”) e ordinò di baciargli i piedi.
Il Papa umiliò l’imperatore davanti a un pubblico immenso. Venezia in questo fu neutrale! Un palcoscenico che accoglie tutti coloro che poterono viaggiare per informarsi su quell’incontro storico. La lastra marmorea in Basilica rivela la neutralità di Venezia, e restò tale fino al momento di maggior splendore: il Cinquecento. Venezia restò teatro di grandi incontri storici, e la sua nobile imparzialità è tutt’ora tangibile. Eppure, progressivamente smise di essere neutrale, in funzione della logica del maggior profitto.
Questa storia accomuna le città che evolvono l’esercizio delle proprie virtù a seconda delle richieste a cui ciascuna deve rispondere. Certo è che, nelle realtà più evolute proliferano le conseguenze scaturite dalla logica del maggior profitto, per loro natura inique. È saggio ricordare che la città è animata delle persone che la abitano, dalle loro esigenze e dai loro obiettivi; dunque, partendo da quest’idea di comunità si può tentare di rinvigorirla.