Pier Paolo Pasolini, scrittore e regista a 100 anni dalla nascita

E’ stato un unicum nella nostra storia culturale non essendoci nessuno che si possa dire abbia raccolto l’eredità, che era poi un modo di essere poeta e intellettuale, di Pier Paolo Pasolini, assassinato a 53 anni nel 1975 e di cui il 5 marzo si celebrano i cento anni dalla nascita nel 1922.

Non a caso Sciascia lo ha definito ”fuori dal tempo”, ovvero singolare e non ideologico e torna in mente quel suo ”Raccogliersi in sé e pensare”, verso de ”La meglio gioventù” scritto a nemmeno trent’anni.

E’ proprio il poeta riflessivo a mancarci oggi, ovvero l’intellettuale ”luterano” e ”corsaro”, come intitolerà i suoi scritti, che attacca il degrado della società e il conformismo, le idee e l’essere della piccola borghesia benpensante e il potere dei Palazzi che ne è l’espressione.

Pasolini analizza, riconosce e denuncia l’involuzione della nostra società con i suoi guasti e ingiustizie, reagendo con provocazioni personali sulla prima pagina del Corriere della sera che fanno scandalo (dal suo No alla legalizzazione dell’aborto, alla proposta di abolire la tv e la scuola media), non solo tra i suoi avversari, ma anche nel mondo della sinistra. ”Tutto ciò fa di lui non solo un grande autore, ma anche un grande personaggio. E l’unico modello precedente, forse, è D’Annunzio”, ha dichiarato Gian Carlo Ferretti, suo amico e studioso che oggi pubblica ”Pasolini personaggio” (Interlinea, pp. 200 – 18,00 euro). 

E’ anche questo suo modo d’essere, il suo aver dato scandalo con le idee come con la sua vita e la sua omosessualità, assieme alle sue poesie, i romanzi, i film e soprattutto gli innumerevoli scritti critici, teorici, civili sulle arti e sulla società, che l’hanno trasformato dopo la morte in una presenza costante, quasi sempre in crescita, del dibattito culturale non solo italiano, un punto di riferimento e una presenza viva tra studiosi e studenti proprio mentre ci si lamenta di come sia dimenticata la gran parte della cultura letteraria del secondo Novecento. I tantissimi e diversi scritti, raccolti in dieci volumi dei Meridiani Mondadori, di questo ”poeta, filologo e sciamano, pedagogo socratico e martire nel senso letterale del termine (ovvero ‘testimone’)”, come lo definisce sinteticamente Valerio Magrelli, continuano a suscitare letture e interpretazioni, accostamenti e approfondimenti che mostrano la forza e l’incandescente nucleo delle sue visioni, delle sue idee, delle sue analisi rivelatesi quasi profezie sulla società industriale che ancora ci parlano nella nostra civiltà elettronica. 

Denunciava come l’Italia stesse vivendo ”un processo di adattamento alla propria degradazione” e, 50 anni dopo, non si può dire che quel processo si sia arrestato e quelle parole risultano drammaticamente attuali. 
Per questo sono semplificazioni inaccettabili limitarsi, come spesso accade, a alcune idee e affermazioni riduttive che hanno avuto grande fortuna, dalla osservazione sull’assenza delle lucciole in una natura depredata dall’uomo al celebre ”Io so, ma non ho le prove” circa le trame dietro i fatti di quei tragici anni. Senza contare che circa quelle prove, circa il suo ”sapere”, si è discusso legandolo alla ragioni della sua morte. E ancora si discute in vari studi, tra cui in uscita ”Pasolini. Morire per le idee” (Bompiani, pp. 414 – 14,00 euro), rielaborazione e aggiornamento di un saggio di Roberto Carnero del 2010, o ”L’inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini” di Simona Zecchi, sottotitolo ”Stragi, Vaticano, DC: quel che il poeta sapeva e perché fu ucciso”, uscito due anni fa e che si lega in particolare a quanto scritto e progettato di rivelare sull’Eni nel romanzo incompiuto e uscito postumo ”Petrolio”, che per Luigi Baldacci era l’opera di ”un moralista dannato” e la sua creazione ”letterariamente più risolta” con quel portare ”a un’incandescenza fredda tutti i problemi di scrittura e di struttura che già l’autore di ‘Teorema’ si era posti nel rinunciare alla cifra facile di ‘Ragazzi di vita e ‘Una vita violenta”’. Nato a Bologna il 5 marzo 1922, Pasolini visse negli anni 40 a Casarsa in Friuli con la amatissima madre e il fratello (morto partigiano) e se ne andò nel 1950 a Roma per sfuggire allo scandalo provocato dalla pubblica denuncia di ”corruzione di minori” legata alla sua omosessualità e la sua professione di insegnante, che gli costò anche l’espulsione dal Pci. Nella capitale sempre più, col passare degli anni, la sua vicenda biografica si identifica con quella spesso agitata dello scrittore, dell’artista, dello studioso e dell’intellettuale impegnato a testimoniare e a difendere, anche in sede giudiziaria, la propria radicale diversità, fino appunto alla morte, materialmente ucciso da uno o più dei suoi ”ragazzi di vita”. 

Uomo apparentemente chiuso, friulano appunto, preso dal suo pensare, poeta e scrittore tra le mura del suo studio, autore di molte raccolte di versi (riunite poi sotto il titolo ”Bestemmie”), di romanzi come ”Ragazzi di vita” ,”Il sogno di una cosa” o ”Teorema”, di testi teatrali, da ”Porcile” a ”Affabulazione”, divenne anche regista di film di successo, da ”Accattone” a ”Mamma Roma”, da ”Uccellacci e uccellini” a ”Medea”, da ”Il Vangelo secondo Matteo” a ”Salò e le 120 giornate di Sodoma” che ne fecero personaggio pubblico da rotocalchi, che sfruttarono anche lo scandalo dei suoi vari processi per ”oscenità” o ”apologia di reato” e del suo sentirsi ”inorganico” e ”disomogeneo” al mondo in cui operava con quella sua ”retorica della provocazione”, lucido strumento stilistico demistificatorio di analisi delle ideologie e comportamenti della cultura e della violenza della società neocapitalista, capace di affascinare ancora le giovani generazioni col suo ”scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro di te; con te nel cuore / in luce, contro di te nelle buie viscere” (da parte IV de ”Le ceneri di Gramsci”). ansa.it