Prima guerra mondiale, italiani traditi non “traditori”
[one_third][/one_third] L’attentato di Sarajevo, in cui perse la vita l’Arciduca Francesco Ferdinando, fu la causa occasionale per una guerra le cui premesse esistevano da tempo. La situazione europea di “pace armata”, basata sulla contrapposizione delle alleanze e sulla corsa agli armamenti, era in fibrillazione per conflitti latenti, come sostiene Francesco Perfetti, docente di storia contemporanea presso l’Università LUISS “Guido Carli”. L’Italia alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale scelse la neutralità. Lo fece perché il trattato che la legava all’Austria-Ungheria e alla Germania fin dal 1882 era difensivo e non contemplava l’automatismo dell’intervento italiano ma anche e soprattutto perché il nostro governo non era stato, come avrebbe dovuto essere, preventivamente interpellato. Vienna non informò l’Italia dell’ultimatum alla Serbia (se non a cose fatte), violando così la Triplice, temendone l’opposizione e non essendo disposta a considerare ipotesi di salvaguardia o compensazione degli interessi italiani. Le consultazioni italo-austriache, avviate durante la neutralità, rivelarono una sostanziale chiusura di Vienna: le offerte asburgiche di “compensi” erano non solo insufficienti ma anche offensive e risibili. In questa situazione il destino dell’Italia, se si fosse schierata con la Triplice e questa fosse risultata vittoriosa, sarebbe stato quello, per dirla con Antonio Salandra, di diventare “il primo vassallo dell’Impero”. Giovanni Giolitti si illuse che, dalla trattativa, l’Italia potesse ricavare “parecchio” ma non c’erano i presupposti politici né la volontà austriaca. D’altro canto, i contatti diplomatici intrapresi dal governo italiano, in particolare dal ministro degli esteri Sidney Sonnino, si rivelarono più fecondi e si giunse il 26 Aprile 1915 alla stipula del Patto di Londra che prevedeva per l’Italia, in caso di vittoria, Trentino, Tirolo meridionale, Venezia Giulia e parte della Dalmazia. Si trattava dell’acquisto delle terre irredente, della conclusione del Risorgimento. Il 4 Maggio 1915 Sonnino comunicò a Vienna la nullità del trattato e il disimpegno dalla Triplice. La guerra era alle porte. Il 20 e il 21 Camera e Senato conferivano pieni poteri al governo guidato da Salandra dopo una crisi-lampo durata due giorni. Il 23 Maggio l’ambasciatore a Vienna consegnò la dichiarazione in base alla quale l’Italia si considerava in stato di guerra contro l’Austria-Ungheria a partire dalle ore zero del giorno successivo. Il primo colpo di cannone italiano fu sparato alle quattro del mattino. Francesco Giuseppe, quello stesso giorno, diffuse ai “suoi popoli” un proclama che denunciava il “tradimento” dell’Italia dopo un’alleanza ultratrentennale che le aveva consentito di “aumentare i possessi territoriali e svilupparsi a impensata floridezza”. Le parole del sovrano alimentarono il mito dell’italiano traditore ma erano false. La scelta dell’Italia non era stata frutto di un tradimento: i primi a tradire lo spirito e il dettato della Triplice Alleanza erano stati gli austriaci. La Grande Guerra, al di là delle ricostruzioni oleografiche e del “revisionismo” radicaleggiante e “sessantottino”, fu per l’Italia, a costo di sacrifici, la conclusione del Risorgimento.