Rifiuta matrimonio combinato, segregata e picchiata dai genitori dalla zia e dalla nonna
Segregata in casa e picchiata ripetutamente dai genitori, dalla zia e dalla nonna. Una storia terribile, che ricorda quella di Saman Abbas, quella vissuta da una 19enne residente all’epoca dei fatti sull’Appennino modenese. Il motivo? Essersi innamorata di un ragazzo diverso da quello scelto per lei dalla famiglia. Anche lui indiano, ma ritenuto dai genitori uno sbandato e appartenente ad una casta inferiore. La giovane però aveva trovato il coraggio di raccontare tutto alla responsabile del corso di formazione che frequentava nel Bolognese. Una decisione che le ha salvato la vita e che ha avuto fortunatamente un lieto fine, a differenza della tragica storia di Saman, uccisa e sepolta vicino alla casa di famiglia. L’insegnante infatti prima l’aveva ospitata a casa, poi aveva fatto partire la denuncia e così a processo sono finiti quattro familiari della ragazza indiana, accusati di maltrattamenti in famiglia perché, contrari al fatto che lei sposasse il giovane di cui era innamorata, la tennero segregata, minacciando di uccidere lei e il ragazzo.
La facevano uscire solo sotto stretta sorveglianza e l’avevano minacciata di riportarla in India al termine della scuola, anche contro la sua volontà. Nel frattempo i genitori, la zia e la nonna sono anche stati sottoposti alla misura cautelare del divieto di avvicinamento. Martedì in tribunale a Modena la prima udienza, è stata ascoltata come testimone l’insegnante che l’ha aiutata e che ha deciso di non costituirsi parte civile. «Ho fatto quello che era giusto fare, sono contenta che ora la ragazza si sia sposata con l’uomo che ama e sia felice. Tutto cominciò un giorno dell’aprile 2023 con una telefonata della zia alla scuola “mia nipote non sta bene, non può venire a scuola e ha perso il telefono”», ha riferito la docente in aula. Il suo cellulare, raccontò poi la giovane, non era stato smarrito ma sequestrato dai genitori. Dopo l’intervento iniziale della docente si attivò tutta la scuola che avvisò le forze dell’ordine e un’associazione che si occupa di violenza sulla donne. In un’occasione la ragazza aveva raccontato di aver bevuto una tazza di latte che aveva un sapore strano e di non essersi sentita bene. Si era svegliata con un forte mal di testa ed era stato ipotizzato che a sua insaputa le fosse stato somministrato qualche medicinale.
«Aiutatemi, non voglio fare la fine di Saman» aveva scritto la studentessa in un messaggio al legale dell’associazione. Dopo un periodo in una struttura protetta la ragazza ora vive nel Reggiano con il giovane di cui si era innamorata e che nel frattempo è diventato suo marito. Anche lui è stato sentito in aula confermando le violenze che gli raccontava la ragazza . «Ora siamo felici – ha detto al termine dell’udienza – mia moglie vuole essere indipendente e sta cercando lavoro, ma soffre per tutto quello che è successo». corriere.it