Romualdi, la mente della destra democratica
di Biagio Cacciola
Fu schivo, per destino, anche il giorno della sua scomparsa, il 21 maggio del 1988, perché il giorno successivo morì Almirante e tutta l’attenzione dei media si fissò su quello che era stato il presidente del MSI-DN. Di Romualdi che pure era stato il presidente e fondatore di quel partito poco o niente.
Eppure se c’era una mente che aveva costretto tutto il partito a muoversi negli anni Settanta e Ottanta verso una destra democratica era stato proprio lui, Pino Romualdi. Lui che poteva campare di rendita nostalgica visto il ruolo che ricopriva come vice del PFR dal ’43 al ’45.
Anni tragici che insegnarono a Romualdi a non cercare le farse del neofascismo, dei saluti romani e tutto il resto del corredo nostalgico. Anzi chi lo ha conosciuto da vicino, avendolo anche come testimone di nozze, può confermare quanto fosse poco indulgente nei confronti di ogni manifestazione folkloristica di nostalgismo.
La sua presenza politica, stimatissima anche dagli avversari, lo portava a teorizzare una piena accettazione della destra di allora nella democrazia e della democrazia. Nella sua bella rivista “L’Italiano” portava avanti questa strategia, in cui l’identità della destra non poteva essere fine a se stessa ma prodromo di alleanze fatte alla luce del sole con tutto lo schieramento centrista.
Per questo fu un politico scomodo, anche perché grazie al nostalgismo faceva carriera. Ebbe la curiosità dei giovani per sempre, forse anche perché il lutto di aver perso un figlio come Adriano, lo portava a incuriosirsi del mondo giovanile. Crebbe infatti un gruppo di giovani dirigenti, tra cui il sottoscritto, invitandoli sempre a non adagiarsi ma a scoprire e a creare qualcosa di nuovo.