Salis, candidata alle europee con il PD ecco l’ipotesi per scarcerarla

L’ipotesi di una candidatura di Ilaria Salis alle Europee dell’8 e 9 giugno con il Pd, finora non smentita dal partito, circola da metà febbraio e negli ultimi giorni la segretaria Elly Schlein ne avrebbe parlato con il presidente Stefano Bonaccini. Diversi esponenti dem spingono da tempo per mettere la donna in lista, a cominciare da Alessandro Zan, ma altrettanti non sarebbero d’accordo. Al Nazareno come sulle chat interne del partito il tema sta creando discussioni. I più critici sostengono non sia il caso di farne un altro caso Enzo Tortora, nel 1984 candidato e poi eletto con i Radicali (dopo un anno e 33 giorni di detenzione e arresti domiciliari per accuse poi rivelatesi completamente infondate). Il tema appare comunque aperto. Oggi, 2 aprile, il deputato ed ex governatore del Lazio Nicola Zingaretti ha per esempio detto a La Stampa: «È una valutazione che spetta a lei, alla sua famiglia e al gruppo dirigente del Pd: tutto il resto è rumore di fondo. Perché si tratta di una situazione delicata, da trattare con prudenza e non gettare nel tritacarne. Io non so cosa possa comportare la candidatura per la sua situazione, ma se può esserle utile mi chiedo: perché no?».
Ma se la 39enne insegnante monzese, militante di estrema sinistra in carcere dal 23 febbraio 2023 con l’accusa di avere aggredito tre manifestanti neonazisti durante un raduno di estrema destra a Budapest, davvero venisse candidata e poi fosse eletta, che cosa accadrebbe? Otterrebbe l’immunità parlamentare, grazie alla quale sarebbe scarcerata. Una volta libera potrebbe quindi affrontare a Budapest le udienze in tribunale in attesa delle decisioni dei giudici, ma senza catene, da donna libera. Secondo il regolamento parlamentare i suoi membri godono infatti di immunità, e non possono dunque essere arrestati o sottoposti a restrizioni della loro libertà per tutta la durata del mandato, tranne nel caso in cui vengano fermati in flagranza di reato, cioè mentre lo stanno commettendo. Questo a garanzia dell’indipendenza degli europarlamentari nell’esercizio delle loro funzioni. Esiste un protocollo, entrato in vigore nel 2004, che stabilisce che i parlamentari che si trovano sul territorio di un altro Stato membro non possono «essere detenuti né essere oggetto di procedimenti giudiziari».
Al momento dell’elezione, con il riconoscimento a Salis dell’immunità, e con le autorità giudiziarie ungheresi attive nel rilasciare le detenute, si avvierebbe una seconda procedura. Contestualmente, infatti, il procuratore generale o il capo della procura competente sul caso, sarebbe tenuto a inviare al presidente del Parlamento europeo una richiesta di autorizzazione a procedere per poter riprendere il processo contro Salis. C’è un’apposita commissione giuridica a Strasburgo che prende in consegna casi del genere. Dopodiché verrebbe deciso se confermare l’immunità totale (nessun tipo d’indagine, detenzione o procedimento legale), negarla, o negarla solo parzialmente (cosa che autorizza le autorità giudiziarie, nel caso di Salis ungheresi, a proseguire nel processo). A maggioranza semplice, poi, il Parlamento voterebbe in seduta plenaria. corriere.it