Scoperto il cimitero dei bambini mai nati, racconto agghiacciante

di Ilaria Passeri

Continua a far discutere l’incresciosa questione dei cimiteri dei “bambini mai nati”. 

Una vicenda portata alla luce grazie alle testimonianze di decine di donne che, dopo anni dall’aborto, hanno scoperto che i rispettivi feti erano stati sepolti senza il loro espresso consenso e identificati con i loro stessi nomi.

La prima a denunciare l’accaduto è stata Marta Loi. 

La donna romana, a fine settembre, dopo il ritrovamento, presso il cimitero Flaminio, di una lapide riportante i suoi estremi anagrafici, ha pubblicato un lungo post su Facebook in cui ha raccontato il suo calvario e ha denunciato la chiara violazione del proprio diritto alla riservatezza.

Da quel momento, si è alzato un vero e proprio polverone che ha spinto il Garante della privacy ad aprire un’istruttoria e molte altre donne ad indagare sul destino riservato ai propri feti.

È così emersa la scioccante realtà di intere aree cimiteriali occupate da tombe di bambini “mai nati”, identificate con i nomi o i cognomi delle donne che un tempo li portavano in grembo.

La disciplina relativa alla tumulazione dei feti abortiti è attualmente disomogenea e lacunosa. 

Pur esistendo delle linee guida al livello nazionale, le Regioni continuano a legiferare sulla questione muovendo da una normativa ormai risalente: il regolamento di polizia mortuaria del 1990, che a sua volta rimanda ad un Regio Decreto del 1939.

In base al suddetto regolamento, in assenza dell’espressa richiesta della madre alla sepoltura del feto, la responsabilità trasla sull’ Azienda Sanitaria Locale, unico soggetto legittimato a prendere decisioni. E così accade che l’ASL di competenza possa scegliere il destino dei piccoli feti.

Si è poi scoperto che, nella maggior parte dei casi, vengono stretti accordi con associazioni pro-vita di carattere religioso che si occupano di tutto quel che concerne il momento del funerale e della sepoltura.

Una pratica ai limiti della legalità, se solo si pensa alla mancanza di espresso consenso della madre alla tumulazione e all’utilizzo arbitrario del suo nome sulla lapide. Un epilogo straziante per la storia personale di queste donne, già costrette, o per legittima scelta o per un doloroso schiaffo della vita, a portare sulle spalle un immenso dolore. 

A quanto pare, la Regione Lazio, con una proposta di legge avanzata da alcuni consiglieri, si sta già muovendo nella direzione di un cambiamento di disciplina. Un cambiamento necessario per la tutela di tutte le donne, troppo spesso stigmatizzate per la loro mancata maternità.

  • Ilaria Passeri, nata a Veroli il 10 marzo del 1983. Dopo aver completato il primo ciclo di studi a Veroli, il mio paese di origine, ho frequentato il Liceo Classico ad Alatri e poi mi sono trasferita a Siena dove, dopo una parentesi di un anno presso la Facoltà di Filosofia, ho frequentato il corso di laurea in giurisprudenza (indirizzo pubblicistico). Successivamente mi sono trasferita a Roma dove ho frequentato La Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali, presso l’Università di Tor Vergata. Ero convinta che la mia strada fosse la magistratura ma poi i piani sono cambiati. Ho lavorato a Roma presso alcuni studi legali e poi, per scelte di vita personali, ho deciso di abbandonare la carriera da avvocato per rimettermi sui libri. Attualmente, dopo il superamento di un concorso pubblico, lavoro come funzionario presso il Ministero dell’Istruzione. Nel corso degli anni non ho mai abbandonato la passione per la scrittura, nata alla tenera età di 6 anni. Amo molto leggere, guardare film e serie tv.  Ho una figlia che si chiama Gaia, di sei anni, un compagno e un dolce maltesino di quasi 10 anni.