Sinner batte Djokovic, l’azzurro in finale “Buongiorno Italia”

 «Buongiorno Italia» dice guardando l’orologio che segna l’orario europeo alla fine dell’impresa, le otto e un quarto di mattina. È tutto vero: il primo finalista italiano nella storia dell’Australian Open è un giovane uomo arrivato dall’Alto Adige per riscrivere le gerarchie del tennis. Con una partita impeccabile Jannik Sinner interrompe l’incredibile striscia di 33 match consecutivi vinti a Melbourne da Novak Djokovic (dieci titoli, mai sconfitto prima in semifinale, ultimo ko risalente al 2018 con il coreano Chung), conferma anche nel format dello Slam (tre set su cinque) i progressi furibondi del fine stagione scorso e si annette il settimo confronto diretto con il serbo (ora avanti 4-3), che aveva già battuto nel girone delle Atp Finals e in Coppa Davis, però mai restituendo l’impressione di schiacciante superiorità dimostrata down under, dove un Sinner gigantesco ha fatto sembrare Djokovic piccolo piccolo, a tratti minuscolo. Gli bastano quattro set, i primi due dal punteggio surreale: 6-1, 6-2, 6-7 (6-8), 6-3È il cambio della guardia, il golpe felice del barone rosso nella tana del re. Nelle crepe aperte nel serbo dai turni precedenti (Prizmic, Popyrin e Fritz gli hanno tolto un set) con la qualità dei suoi colpi e la saggezza del veterano Jannik si infila impietoso, il migliore in flessione non è imbattibile, anzi. Guardandosi riflesso allo specchio il Djoker si scopre impotente, forse per la prima volta vecchio. Sinner parte a razzo, mettendo subito a nudo tutte le lacune di Djokovic in questo Australian Open. Una prima palla insufficiente sotto il cinquanta per cento (43%), l’imprecisione da fondo (15 errori gratuiti, saranno 54 alla fine), un appannamento generale evidenziato impietosamente dalla perfezione dell’azzurro, che non sbaglia niente. Break immediato, al secondo game, sul primo turno di servizio dell’avversario. Jannik vola 3-1, 5-2 con un secondo break su un Djokovic schiacciato dalla pressione, costretto alla mediocrità dalla qualità del gioco del rivale, che serve benissimo, risponde profondo, manovra con il dritto trovando gli angoli per spostare il migliore depotenziato e frettoloso, quasi disperato. 6-1 in 35’. Tra i due, Djokovic sembra Sinner. «Abbiamo cercato di mettergli dentro qualcosa del Djoker» ha detto coach Vagnozzi alla vigilia. Questo è il risultato. La versione offuscata del Djoker si trascina nel secondo set, nel quale Sinner non cala un grammo mentre il serbo fatica a trovare contromisure a un rivale che lo domina in ogni zona del campo, come se fosse lui il numero uno del mondo. La maggiore pesantezza di palla e i cambi di ritmo inchiodano Djokovic all’evidenza dei suoi 36 anni, oggi visibilissimi: il break nel terzo game (2-1) conferma gli equilibri in campo e l’inerzia del primo parziale. Il re è costretto a giocare sulla difensiva, di rimessa, le incursioni a rete sono imprecise, i traccianti di Sinner non gli danno margine di manovra né profondità. Il settimo game, per lui, è complicatissimo: la terza palla break, un altro dritto sparato lungo, gli è fatale. Non c’è match, non c’è speranza, c’è solo Jannik. 5-2, 6-2. E adesso recuperali tu due parziali di svantaggio a questo Sinner (già successo nella semifinale di Wimbledon 2022, però l’iniziale dominio di Jannik sull’erba non era stato così netto). Le prime in campo di Djokovic sono salite (75%), ma l’efficacia dell’italiano resta spaventosa (92% di punti sulla prima). Oltre al fatto che Jannik sbaglia pochissimo. È con questa evidenza che Djokovic si deve confrontare nel terzo set, sull’orlo del burrone. Si volta verso il suo box, una sauna a cento gradi al centro della quale coach Ivanisevic ha la faccia dei giorni peggiori: «Dove mi devo mettere a rispondergli?» chiede. È smarrito. Ma è pur sempre Djokovic. corriere.it