Sinner nella storia, batte Fritz e vince il suo secondo Slam

Dopo la vittoria agli Australian Open 2024, suo primo Slam in carriera, Jannik Sinner era diventato numero 1 al mondo al Roland Garros, grazie al ritiro di Djokovic. Ora, il talento di San Candido è anche il primo italiano di sempre a vincere la finale maschile degli US Open, conquistando il suo secondo Slam giocando contro il tennista di casa Taylor Fritz (6-3, 6-4, 7-5). E così, per Sinner, la vittoria americana sul centrale di Flushing Meadows, davanti a 24 mila persone, gli ha messo nelle mani il sedicesimo titolo della sua carriera, permettendogli di sfondare quota 11mila punti nella classifica Atp e aggiudicarsi un premio record, quasi 3 milioni e 300 mila euro, che vanno ad aggiungersi a un patrimonio già milionario. «Dedico questo trofeo a mia zia. Non sta bene: non so per quanto ancora l’avrò nella mia vita. È bello poter condividere i momenti importanti con chi ti vuole bene. Io lavoro per alzare queste coppe però al di fuori del tennis, c’è la vita vera». Il messaggio piovuto in testa a Gimbo Tamberi a Parigi, l’ossessione dell’Olimpiade guastata da un imprevisto dopo tre anni di esistenza messa in pausa, illumina Jannik Sinner durante la premiazione dell’Open Usa. Il tennis è moltissimo, però non tutto. C’è la famiglia d’origine in Alto Adige, che lo vede pochissimo da quando, tredicenne, se ne andò di casa. C’è la fidanzata Anna, baciata in mondovisione sulla scia di questa nuova consapevolezza. Ha solo 23 anni appena compiuti, il re di New York, ma l’esperienza ne ha fatto un uomo saggio. «Ho sempre pensato che il campo di Flushing mi si addicesse — racconta — ma una volta ho perso con Alcaraz sprecando un match point, e quella dopo con Zverev in cinque set. La vittoria a Cincinnati mi ha dato fiducia in un periodo non facile e qui a New York l’aspetto mentale ha avuto un ruolo determinante». La pressione di queste ultime settimane è sfociata in un’esultanza contenuta, vissuta interiormente. E nell’abbraccio con il team: «Loro sono la mia famiglia del tennis, mi conoscono bene. I coach piangevano? Non li ho visti. Ho chiuso gli occhi e ho guardato il cielo». Adesso, con la coppa dell’Open Usa in mano, chiederà di riscuotere la scommessa fatta con Cahill e Vagnozzi a Montreal: «Avevamo detto che, se fossi arrivato almeno in una finale nello swing americano, mi avrebbero dovuto regalare la PlayStation 5!». Le ha vinte tutte e due, quelle finali: Cincinnati e New York. Cahill ride: «Ha intascato 3,6 milioni di dollari, quella PlayStation può permettersela da solo! Ma ogni promessa è debito e c’è anche il regalo di compleanno: il 16 agosto Jannik ha compiuto 23 anni».  Il coach è soddisfatto: «Vagnozzi ha lavorato sulla transizione del gioco di Jannik da difesa ad attacco — spiega —, io ho cercato di tenere unita la squadra nella tempesta. Quando Jannik si è svegliato, ieri mattina, l’ho visto pronto. In Australia, davanti alla sua prima finale Slam, era più nervoso». La stagione delle 55 vittorie e dei 6 titoli gli ha dato fiducia: «Sì ma qui ha cominciato perdendo un set e andando sotto di un break con McDonald. Ha giocato con 40 chili sulle spalle, mi chiedo anch’io come abbia fatto…». Alla fine, Cahill ha pianto: «Ero esausto! Ho cercato di tenerlo focalizzato, gli ho ripetuto tutti i giorni: non hai fatto niente di male, Jannik, adesso vediamo come uscirne. Lo stress è stato enorme però lui è nato con la mentalità del campione. Quando ho iniziato a lavorare con Jannik ero certo diventasse numero uno del mondo». La festa, ieri sera, è stata sobria ma sentita. Non era scontato che in Sinner non si aprisse qualche crepa. La dolomite ha tenuto, è la forza che ti dà la montagna. Ha vinto anche a New York, che non ti regala niente. My way. La maniera di Sinner. corriere.it