Strage di Nassiriya, bomba al comando dei Carabinieri ricordo delle vittime

Il 12 novembre 2003 alle 10.40 ora locale, le 8.40 in Italia, un’autocisterna forzò l’entrata della base Maestrale, presidiata dai carabinieri italiani, nella città di Nassiriya, in Iraq: i due uomini a bordo fecero esplodere una bomba. La deflagrazione, con un effetto domino, fece saltare in aria il deposito munizioni. E spezzò 28 vite, quelle di 9 iracheni e di 19 italiani: 12 carabinieri, 5 militari dell’esercito e due civili, un cooperatore internazionale e un regista, Stefano Rolla, impegnato con la sua troupe nelle riprese di uno sceneggiato sulla ricostruzione del paese. Fu il più grave attacco subito dall’esercito italiano dalla fine della Seconda guerra mondiale.

La foto simbolo Nella prima foto un soldato si aggiusta l’elmetto, davanti alla base sventrata: è lo scatto simbolo della strage di Nassiriya realizzato dalla fotoreporter Anya Niedringhaus, premio Pulitzer 2005 come giornalista di guerra in Iraq, uccisa in Afghanistan da un talebano con addosso la divisa delle forze di sicurezza governative nel 2014.

Gli eroi di Nassiriya I Carabinieri: Massimiliano Bruno, Giovanni Cavallaro, Giuseppe Coletta, Andrea Filippa, Enzo Fregosi, Daniele Ghione, Horacio Majorana, Ivan Ghitti, Domenico Intravaia, Filippo Merlino, Alfio Ragazzi, Alfonso Trincone. I militari dell’esercito: Massimo Ficuciello, Silvio Olla, Alessandro Carrisi,Emanuele Ferraro, Pietro Petrucci. I civili: Marco Beci, cooperante, e Stefano Rolla, regista.

Il ricordo del Presidente della Repubblica Il 12 novembre, giorno della strage di Nassiriya, è la Giornata dedicata al ricordo dei caduti militari e civili nelle missioni internazionali per lapace. Il presidente Mattarella ha inviato un messaggio al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini: “Nelle operazioni di ristabilimento della pace e per la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, la Repubblica Italiana continua a rappresentare un esempio, grazie alla vicinanza e alla capacità di dialogo con le popolazioni  locali. A quanti vi sono impegnati – scrive il Capo dello Stato – vanno  l’apprezzamento e la gratitudine del Paese. Una nuova pagina è stata scritta in questo periodo di emergenza sanitaria che si è aggiunta alle altre dure prove alle quali sono sottoposte le popolazioni di tante aree del Pianeta”.  “L’odierna commemorazione, oltre a rappresentare un momento importante per ricordare quanti hanno perso la vita per affermare il valore della pace, deve essere fonte di riflessione e di spinta nel percorso di  condivisione e solidarietà, teso ad affermare i valori universali dei  diritti umani. Ai familiari che continuano a soffrire per la mancanza  dei propri cari, esprimo la vicinanza e la riconoscenza del Paese, unitamente – conclude Mattarella- al mio grato e affettuoso pensiero”. 

“Mio padre, un eroe” L’anniversario della strage di Nassiriya “rinnova il dolore di una ferita mai rimarginata, una sofferenza, però, sempre accompagnata da un grande orgoglio per l’eroico sacrificio di mio padre che, come i suoi commilitoni caduti nello stesso eccidio, era consapevole del pericolo che correva, ma non si è sottratto all’esercizio del dovere fino in fondo, fino all’estremo sacrificio”. Con queste parole, Marco Intravaia, figlio del vicebrigadiere dei carabinieri Domenico, ricorda la strage del 12 novembre 2003, durante le commemorazioni per il diciottesimo anniversario. “Questa ricorrenza – aggiunge – ha un sapore ancora più amaro, troppo doloroso l’eco di quel che è accaduto e che sta accadendo in Afghanistan e, a volte, lo sconforto ha il sopravvento. Ma poi penso a mio padre e a tutti gli altri caduti all’estero nella lotta al terrorismo e so che, esattamente come tutti i militari attualmente impegnati nelle missioni internazionali, rifarebbero le stesse scelte, perche’ soltanto facendo bene il proprio dovere e servendo con fedelta’ lo Stato, potremo donare un mondo e una societa’ migliori ai nostri figli”. I caduti a Nassiriya, prosegue Intravaia, “cosi’ come tutti coloro che hanno immolato la vita alla Patria, possono essere definiti eroi. Eroi che sono padri, figli e mariti con le loro fragilità e paure, ma che non si lasciano mai sopraffare da esse, onorando, quotidianamente, il giuramento prestato alla Repubblica”. 

“Fiera di mio marito” “Provo fierezza per quello che è stato mio marito e per come ha vissuto la sua vita, per come è arrivato a  quell’estremo dolore con la sua uniforme che gli si è sciolta addosso”. Fierezza per il “senso forte di attaccamento alla divisa,  per l’amore che lui e gli altri caduti hanno donato”. A parlare è Margherita Caruso Coletta, moglie del brigadiere dei Carabinieri Giuseppe Coletta morto nell’attentato di Nassiriya. “A 18 anni da quel tragico giorno i ricordi “rimangono anche se  sbiaditi perché per Dio ti dà la forza di continuare a vivere e a  gioire – spiega la moglie del brigadiere dei Carabinieri – Abitavamo a San Vitaliano e quel giorno stavo portando mia figlia, che all’epoca  aveva 2 anni e mezzo, dalla pediatra. Si sono susseguite notizie e di  corsa sono tornata al nostro alloggio di servizio in caserma, ma arrivavano informazioni frammentate. Ho chiesto subito al comandante e di lì a poco è arrivato il generale dei carabinieri che mi ha detto  cosa era accaduto, solo guardandolo ho capito che Giuseppe era tra i  caduti”.  Giuseppe Coletta, come gli altri militari di Nassiriya, era prossimo al rientro in Italia. Con la moglie si erano sentiti proprio la sera  prima dell’attacco: “In Sicilia, per San Martino, si fanno le crispelle e mi chiese se le avevo fatte. Si parlava di quotidianità”. rainews.it