Terrorismo, reddito cittadinanza all’ex brigatista agli arresti domiciliari
Seicentoventitré euro al mese dal reddito di cittadinanza perché sotto la soglia di povertà e con due figli. Anche se la beneficiaria è un’ex brigatista, condannata a 21 anni e 6 mesi per l’omicidio del giuslavorista Massimo D’Antona (20 maggio 1999) ed è agli arresti domiciliari. Ma nulla sembra ostare alla richiesta di Federica Saraceni che dallo scorso agosto riceve quasi la cifra massima del sussidio ideato dal Movimento Cinque Stelle per chi si trova in stato di povertà e per aiutarlo a reinserirsi nel mondo del lavoro.
Il caso è raccontato dal quotidiano La Verità e indigna molti parenti di vittime del terrorismo. Ma, in attesa di chiarimenti da parte di Inps e ministero del Lavoro, la legge sembra dalla parte di questa donna, 49 anni, romana, madre di due bambini e senza reddito. Sebbene figlia dell’ex magistrato Luigi Saraceni, fondatore di Magistratura democratica, poi parlamentare con Pds e Verdi e infine avvocato proprio per difenderla nel processo di appello che l’ha condannata definitivamente per l’omicidio D’Antona. Per la legge 28 marzo 2019 numero 26, che istituisce il reddito di cittadinanza, l’ex brigatista può beneficiare dei 623 euro e aspettare una chiamata dai navigator per un’offerta di lavoro.
La sua condanna risale a più di 10 anni prima dalla richiesta del sussidio (al di sotto dei 10 non avrebbe avuto i requisiti). La legge prevede poi che il reddito non sia dato a chi è in stato detentivo a «totale carico dello Stato»: ma la Saraceni è agli arresti domiciliari nella sua abitazione. Infine, non può ottenere il sostegno chi è sottoposto «a misure cautelari personali»: non è questo il caso, visto che è già condannata. Tutto regolare dunque, dal punto di vista legale, per quanto ricevere un sussidio economico dallo Stato per un’ex terrorista possa sembrare inopportuno. E la cifra ottenuta sia molto più alta di quanto spesso concesso a persone in condizioni più disagiate, inclusi senza fissa dimora. E il no comment del ministero maschera un certo imbarazzo in via Veneto. Proprio lì dove Massimo D’Antona era di casa. corriere.it